TOO MANY LATE NIGHTS
Recensione "Rumore" (Maggio 2012) di Ester Apa
Recensione "Il Mucchio" (Maggio 2012) di Federico Guglielmi
Recensione "Rockerilla" (Maggio 2012) di Paolo Dordi
Recensione "Buscadero" (Maggio 2012)
Recensione "Blow Up" (Giugno 2012) di Guido Gambacorta
Questo disco ci riserva una sorpresa oserei dire ragionevole. Fabio Parrinello spiazza quanti lo avevano rubricato tra i (molti, forse troppi) succedanei di Nick Drake e col terzo album imprime una svolta decisa alla cifra stilistica, incaricandosi di'irrequietezze blues-rock perturbate wave con escursioni - ebbene sì - quasi industrial. A dire il vero, qualche sintomo potevamo percepirlo già nel precedente Rhaianuledada, ma si limitavano ad increspature sintetiche, ugge ed ebbrezze jazzy, oscillazioni tutto sommato standard in una gamma espressiva che rimaneva sostanzialmente folk, al punto da sfiorare una certa monotonia. Liberi quindi d'interpretare questo Too Many Late Nights come il guizzo per scampare al probabile cul de sac (ecco la ragionevolezza), impresa per la quale Parrinello deve aver sentito il bisogno di un approccio da band, tanto da stringere sodalizio col batterista Alessandro Falzone e con la chitarrista-pianista nonché vocalist Anna Balestrieri.
E bene ha fatto, il varesino naturalizzato palermitano dopo un giro del mondo tra Los Angeles e Londra, perché le dieci tracce (più una) in questione sono un carosello tutto sommato convincente, dove la forma crepita e la sostanza è sanguigna, dal country blues in acido di Dixie Gipsy, Babe (i Gomez posseduti da Nick Cave) al boogie gospel di War Child (Mark Bolan strattonato Lanegan), passando dalle insidie dark di It Turns You On (fervore Depeche Mode imbastardito Virgin Prunes) e dal caracollare languido di Blowin’ Horns In Heaven (mollezza da Lou Reed androide). Se episodi come Land’s End Sanctuary suggeriscono come la vecchia calligrafia sia tutt'altro che abiurata, covando ugge semiacustiche con ebbra leggerezza quasi Joseph Arthur, l'acidità da patibolo di Heather e l'iniziale When I Was Married To You sono il profilo estremo del nuovo wild side, deliri urticanti con tanto di cori da un'altra dimensione/epoca (sorta di allucinazioni fantasmatiche da cuginastro nevrastenico di Moby).
Rispetto ad un Samuel Katarro (futuro King Of The Opera), l'ossessione per la musica del diavolo è filtrata da un raziocinio che poco concede agli effetti collaterali psych, un intento ingegneristicamente canzonettistico che finisce per pagare pegno ad una certa faciloneria, vedi la ballata Crazy To The Bone (quasi un Tom Waits stemperato Bryan Adams) e quella Paper Cuts, Light Green coi cascami Alex Chilton in un contorno didascalico di slide e piano. Sono limiti che non pesano troppo in una logica sostanzialmente pop-rock, e questo in fondo è un buon disco di pop-rock alternativo, che riposiziona Black Eyed Dog tra le entità da cui puoi attenderti un bel po' di cose, non tutte consuete, né prevedibili. Bene così.
Stefano Solventi - sentireascoltare.it
Dopo la prima serie di ascolti di "Too many late nights" sono andato a recuperare tutte le parole scritte qui su Rockit dalla collega Sara Scheggia, nel tentativo di scoprire cosa accomunasse queste nuovo lavoro con quanto prodotto in precedenza da BED. E di similitudini non se ne trovano molte, a meno che non si voglia considerare una certa attitudine per il blues come collante fra queste due fasi della carriera di Fabio Parrinello.
Se infatti nel precedente "Rhaianuledada (Songs to Sissy)" quest'attitudine veniva declinata sulla falsariga della (neo)scuola cantautorale americana (con quello specifico mood tipico di certi artisti come Joseph Arthur e Bright Eyes), stavolta l'ispirazione sembra provenire da esperienze musicali che hanno battuto altri percorsi. Quasi da non crederci a raccontarlo se già conoscete le opere di Fabio Parrinello, ma oggi il blues di cui sopra viene rivisitato e rimescolato ("When I Was Married To You", "Dixie Gipsy, Babe", "Sister") incrociando a grandi linee la lezione retro-futurista del Moby di "Play" e quella deviata dei grandissimi e mai tanto rimpianti Sixteen Horsepower. Musicalmente parlando, quindi, " Too many late nights" rappresenta una svolta: è un disco più arrabbiato del solito, quasi che il Nostro abbia deciso ad un tratto di cambiare completamente abito, vestendo queste 10 tracce con rinnovati colori, per lo più tendenti al nero.
Non per questo vengono messe da parte le ballate, ma dopo la metamorfosi (compiuta?) sembrano assumere contorni diversi. "Crazy to the bone" (sopra tutte…), "Paper cuts, light green" e "Land's end sanctuary" sono i 3 episodi nel classico vecchio stile ai quali sarebbe stato impossibile rinunciare - e per i quali l'ultimo Joseph Arthur pagherebbe lingotti d'oro per intestarle a suo nome. Negli altri frangenti, quelli più hard, fanno invece capolino alcuni tratti tipici del sound forgiato da Trent Reznor (ascoltate la coda di "Heather" e il climax di "It turns you on"), lontanissimi dall'idea di suono che finora avev(am)o attribuito al progetto.
Dopo Grimoon, BadLoveExperience e Drink To Me, Black Eyed Dog ci consegna in questo 2012 un'altra opera 'made in Italy' dalla caratura internazionale. Un valido motivo per fingersi, all’occorrenza, sciovinisti.
Dopo la prima serie di ascolti di "Too many late nights" sono andato a recuperare tutte le parole scritte qui su Rockit dalla collega Sara Scheggia, nel tentativo di scoprire cosa accomunasse queste nuovo lavoro con quanto prodotto in precedenza da BED. E di similitudini non se ne trovano molte, a meno che non si voglia considerare una certa attitudine per il blues come collante fra queste due fasi della carriera di Fabio Parrinello.
Se infatti nel precedente "Rhaianuledada (Songs to Sissy)" quest'attitudine veniva declinata sulla falsariga della (neo)scuola cantautorale americana (con quello specifico mood tipico di certi artisti come Joseph Arthur e Bright Eyes), stavolta l'ispirazione sembra provenire da esperienze musicali che hanno battuto altri percorsi. Quasi da non crederci a raccontarlo se già conoscete le opere di Fabio Parrinello, ma oggi il blues di cui sopra viene rivisitato e rimescolato ("When I Was Married To You", "Dixie Gipsy, Babe", "Sister") incrociando a grandi linee la lezione retro-futurista del Moby di "Play" e quella deviata dei grandissimi e mai tanto rimpianti Sixteen Horsepower. Musicalmente parlando, quindi, " Too many late nights" rappresenta una svolta: è un disco più arrabbiato del solito, quasi che il Nostro abbia deciso ad un tratto di cambiare completamente abito, vestendo queste 10 tracce con rinnovati colori, per lo più tendenti al nero.
Non per questo vengono messe da parte le ballate, ma dopo la metamorfosi (compiuta?) sembrano assumere contorni diversi. "Crazy to the bone" (sopra tutte…), "Paper cuts, light green" e "Land's end sanctuary" sono i 3 episodi nel classico vecchio stile ai quali sarebbe stato impossibile rinunciare - e per i quali l'ultimo Joseph Arthur pagherebbe lingotti d'oro per intestarle a suo nome. Negli altri frangenti, quelli più hard, fanno invece capolino alcuni tratti tipici del sound forgiato da Trent Reznor (ascoltate la coda di "Heather" e il climax di "It turns you on"), lontanissimi dall'idea di suono che finora avev(am)o attribuito al progetto.
Dopo Grimoon, BadLoveExperience e Drink To Me, Black Eyed Dog ci consegna in questo 2012 un'altra opera 'made in Italy' dalla caratura internazionale. Un valido motivo per fingersi, all’occorrenza, sciovinisti.
Fausto Murizzi - rockit.it
Piacevole ascolto questi Black Eyed Dog. Prodotti dalla palermitana 800A Records (nota per aver curato l’EP d’esordio dei conterranei Pan del Diavolo), sono un eclettico trio giunto alla terza tappa del proprio cammino, capitanati dal fondatore Fabio Parrinello (voce, chitarra e mandolino) recentemente rinforzato dall’innesto dei polistrumentisti Anna Balestrieri (voce, piano, chitarre) e Alessandro Falzone (batteria, chitarra).
Too Many Late Nights è una distesa di soft blues lievemente elettronico, condensato da melodie dal respiro maledettamente malinconico. Un album dai toni cinematografici, giocato su una base di sottile psichedelia e caratterizzato dalla contrapposizione tra ballate inquiete e violente accelerazioni. Seduce e diletta tanto la sofisticatezza degli arrangiamenti quanto l’atmosfera densa di inquietudine, intrigando grazie all’ efficace intreccio delle due voci protagoniste, dove soprattutto il caldo timbro maschile risulta vero punto di forza del disco. I richiami ai momenti più moderati di Tom Waits, pur in assenza della sua malata genialità, sono evidenti (“Crazy to the bone”) e altrettanto percepibili sono le opprimenti atmosfere folk alla Nick Drake (“Land’s end sanctuary”) e qualche reminescenza dai Tool (“Sister”). Tra le diverse influenze, mantenendo un ingegnoso distacco, emergono personalità e un riconoscibile stile, espresso al meglio nei cupi momenti blues western (“Dixie gispy, babe”, “Heather” e “War child”).
La nuova fatica dei Black Eyed Dog ha un animo decisamente internazionale, per sonorità e precisione, non a caso assemblato qua e la tra Sicilia, Australia e Stati Uniti grazie all’ausilio di Hugo Race (Nick Cave) J.D. Foster (Calexico) e Fabio Rizzo (Waines). Un disco che, nella sua sobria alterigia, mantiene un livello costante di tensione e coinvolgimento lungo tutte le sue dieci tracce. Too Many Late Nights è un album greve ma paradossalmente piacevole, appunto, che stupisce per eleganza e garbo, un’opera da ascoltare con attenzione ma da godersi quasi distrattamente, con un whiskey in mano e le luci rigorosamente soffuse.
Piacevole ascolto questi Black Eyed Dog. Prodotti dalla palermitana 800A Records (nota per aver curato l’EP d’esordio dei conterranei Pan del Diavolo), sono un eclettico trio giunto alla terza tappa del proprio cammino, capitanati dal fondatore Fabio Parrinello (voce, chitarra e mandolino) recentemente rinforzato dall’innesto dei polistrumentisti Anna Balestrieri (voce, piano, chitarre) e Alessandro Falzone (batteria, chitarra).
Too Many Late Nights è una distesa di soft blues lievemente elettronico, condensato da melodie dal respiro maledettamente malinconico. Un album dai toni cinematografici, giocato su una base di sottile psichedelia e caratterizzato dalla contrapposizione tra ballate inquiete e violente accelerazioni. Seduce e diletta tanto la sofisticatezza degli arrangiamenti quanto l’atmosfera densa di inquietudine, intrigando grazie all’ efficace intreccio delle due voci protagoniste, dove soprattutto il caldo timbro maschile risulta vero punto di forza del disco. I richiami ai momenti più moderati di Tom Waits, pur in assenza della sua malata genialità, sono evidenti (“Crazy to the bone”) e altrettanto percepibili sono le opprimenti atmosfere folk alla Nick Drake (“Land’s end sanctuary”) e qualche reminescenza dai Tool (“Sister”). Tra le diverse influenze, mantenendo un ingegnoso distacco, emergono personalità e un riconoscibile stile, espresso al meglio nei cupi momenti blues western (“Dixie gispy, babe”, “Heather” e “War child”).
La nuova fatica dei Black Eyed Dog ha un animo decisamente internazionale, per sonorità e precisione, non a caso assemblato qua e la tra Sicilia, Australia e Stati Uniti grazie all’ausilio di Hugo Race (Nick Cave) J.D. Foster (Calexico) e Fabio Rizzo (Waines). Un disco che, nella sua sobria alterigia, mantiene un livello costante di tensione e coinvolgimento lungo tutte le sue dieci tracce. Too Many Late Nights è un album greve ma paradossalmente piacevole, appunto, che stupisce per eleganza e garbo, un’opera da ascoltare con attenzione ma da godersi quasi distrattamente, con un whiskey in mano e le luci rigorosamente soffuse.
Federico Colocresi - impattosonoro.it
E' tornato dopo tre anni e l'ha fatto alla grande e con tante novità, come è giusto che sia giunto al terzo lavoro, Black Eyed Dog aka Fabio Parrinello, con lui ci sono infatti stavolta anche Anna Balestrieri e Alessandro Falzone... ma c'è anche la produzione artisitica di Fabio Rizzo, ci sono JD Foster e Hugo Race... e c'è tra l'altro l'idea promozionale dell'etichetta, la 800A Records,ovvero la 800A Card, un abbonamento a vita a tutte le future produzioni dell'etichetta e che si sottoscrive con soli 23 euro sul sito www.800acard.it.
Ma le sorprese non finiscono qui, in quanto il nostro pur regalando ancora una volta una manciata di splendide ballad alla sua maniera, infarcisce l'album di "Punk Romantic Psycho Blues", una definizione decisamente appropriata, in quanto l'approccio è sicuramente punk, inteso "nella purezza e nell'urgenza dell'espressione artistica", come il romanticismo nel senso nobile del termine ovvero in quello primordiale, che fa "la voce del padrone" specie nei testi, ma è nell'eccezione psycho blues che troviamo forse la chiave di volta di questo lavoro e la decisa virata del nostro verso territori più selvaggi, dove l'anima blues anche qui è bene riferirsi ai signficati originari si scontra letteralmente (psycho) con ritmiche e sonorità di matrice fine anni '80, primi anni '90 e venature armoniche psichedeliche e persino noise a tratti... se volessimo far dei nomi sintetizzando, sarebbe come dire che a Nick Drake si aggiungono volentieri Nick Cave, Tom Waits, Beck e chissà quanti altri... in un calderone di suoni ricchissimo e mai fine a se stesso, infatti il mood di base, oltre che mai banale, è sempre scarno, essenziale, eppure magicamente caldo e viscerale, "blues" appunto, pronto a deflagrare, ad esplodere da un momento all'altro, in una tensione emotiva che trova sfogo ora nelle parole, ora nelle atmosfere evocate di volta in volta, ora nei sentimenti che pretendono voce, ora negli stati d'animo... soffocati e urlati...
Un disco "vivo e soprattutto vero" che parla all'anima, senza filtri.
"When I Was Married To You": ritmo marziale, oscuro e lacerante specie nell'irresistibile ritornello: " My Desire is Burning, my Desire is turning", che squarcia per così dire la tensione, con la slide guitar in evidenza oltre ovviamente alla profonda e calda voce del nostro che meglio di così difficilmente poteva iniziare questo suo terzo capitolo:
"When i was married to you, We had a cat named "l'amour" Micro,cuddly,sweet,caring did nothing but staring at the Two of us fading away... Always/Sideways"
"It Turns You On": il brano è sostanzialmente diviso in due parti, la prima con la chitarra "ipnotica" in evidenza, dove la voce si appoggia, prima di lasciar spazio alla seconda dove è il ritmo quasi robotico a prendere il sopravvento:
"It Turns You on that the trigger needs just one click"
"Dixie Gipsy, Babe": un folk blues di quelli che piacerebbero tanto a Beck, acido e trascinante, con un gran lavoro di chitarre sullo sfondo che impreziosiscono il tutto:
"N.Y.C is wearing make-up, Cinderella daylight breaker, I'm your Dixie,Gipsy Baby"
"Blowing Horns in Heaven": rarefatta e intensa "space ballad" a due voci, che procede scarnificata, quasi per sottrazione per concentrare e rilasciare il pathos appunto nelle parole e nell'unione del canto con Anna Balestrieri:
"Is this all you wanted from me?Darling"
"Heather": un impianto folk blues sporco e selvaggio, ipnotico e cupo col ritornello che parte improvviso all'arma bianca, trascinante e distorto e una suggestiva coda finale strumentale dove la chitarra, sonica, incendiaria e tagliente si prende la scena:
"take me home..."
"Crazy To The Bone": l'atmosfera si fa improvvisamente morbida e delicata per un brano che ci riporta ai precedenti album del nostro, con il piano ad accrescere la tensione e l'armonica ad aggiungere malinconia, senza dimenticare di segnalare ancora una volta la riuscita unione con la voce della Balestrieri:
"I had a dream the other night So fucking strange to have You there just for a while Us,dancing through the shades of Morning glories,me&you The Holy Rain was all but outrageous Tell me darling if this is where You are?'cause All those yellow pages They were empty"
"Sister": una strofa "sinistra" dove regna una calma totalmente apparente che non aspetta altro che esplodere letteralmente nelle invocazioni del ritornello... il risultato è di forte impatto emotivo:
"Don't you know why? So long twisted,poetry of bliss I owe you one....One little secret My little secret"
"Land's End Sanctuary": classica ballad, stavolta con la chitarra portante, solenne nel suo dipanarsi, infarcita da inserti di armonica e piano e un suggestivo uso dei controcanti nel ritornello:
"With You Shine like roses shine... For You I Shine like Roses shine"
"War child": un blues accattivante, ammaliante, con la ritmica potente, tribale e ancora una volta la chitarra elettrica a condire il tutto:
" Call Me War Child Behold You're mine"
"Paper Cuts, Light Green": è un'intensa e sentita ballad per piano e voce a chiudere l'album, impreziosita da giusti e necessari orpelli strumentali e dai controcanti a rilasciare una sensazione di bellezza, prima della ghost track, bluseggiante ed elettronica:
"Life is a Landfill You'll crash and shine through I just want You to hold on To things as they turn Hold on to things as they turn"
E' tornato dopo tre anni e l'ha fatto alla grande e con tante novità, come è giusto che sia giunto al terzo lavoro, Black Eyed Dog aka Fabio Parrinello, con lui ci sono infatti stavolta anche Anna Balestrieri e Alessandro Falzone... ma c'è anche la produzione artisitica di Fabio Rizzo, ci sono JD Foster e Hugo Race... e c'è tra l'altro l'idea promozionale dell'etichetta, la 800A Records,ovvero la 800A Card, un abbonamento a vita a tutte le future produzioni dell'etichetta e che si sottoscrive con soli 23 euro sul sito www.800acard.it.
Ma le sorprese non finiscono qui, in quanto il nostro pur regalando ancora una volta una manciata di splendide ballad alla sua maniera, infarcisce l'album di "Punk Romantic Psycho Blues", una definizione decisamente appropriata, in quanto l'approccio è sicuramente punk, inteso "nella purezza e nell'urgenza dell'espressione artistica", come il romanticismo nel senso nobile del termine ovvero in quello primordiale, che fa "la voce del padrone" specie nei testi, ma è nell'eccezione psycho blues che troviamo forse la chiave di volta di questo lavoro e la decisa virata del nostro verso territori più selvaggi, dove l'anima blues anche qui è bene riferirsi ai signficati originari si scontra letteralmente (psycho) con ritmiche e sonorità di matrice fine anni '80, primi anni '90 e venature armoniche psichedeliche e persino noise a tratti... se volessimo far dei nomi sintetizzando, sarebbe come dire che a Nick Drake si aggiungono volentieri Nick Cave, Tom Waits, Beck e chissà quanti altri... in un calderone di suoni ricchissimo e mai fine a se stesso, infatti il mood di base, oltre che mai banale, è sempre scarno, essenziale, eppure magicamente caldo e viscerale, "blues" appunto, pronto a deflagrare, ad esplodere da un momento all'altro, in una tensione emotiva che trova sfogo ora nelle parole, ora nelle atmosfere evocate di volta in volta, ora nei sentimenti che pretendono voce, ora negli stati d'animo... soffocati e urlati...
Un disco "vivo e soprattutto vero" che parla all'anima, senza filtri.
"When I Was Married To You": ritmo marziale, oscuro e lacerante specie nell'irresistibile ritornello: " My Desire is Burning, my Desire is turning", che squarcia per così dire la tensione, con la slide guitar in evidenza oltre ovviamente alla profonda e calda voce del nostro che meglio di così difficilmente poteva iniziare questo suo terzo capitolo:
"When i was married to you, We had a cat named "l'amour" Micro,cuddly,sweet,caring did nothing but staring at the Two of us fading away... Always/Sideways"
"It Turns You On": il brano è sostanzialmente diviso in due parti, la prima con la chitarra "ipnotica" in evidenza, dove la voce si appoggia, prima di lasciar spazio alla seconda dove è il ritmo quasi robotico a prendere il sopravvento:
"It Turns You on that the trigger needs just one click"
"Dixie Gipsy, Babe": un folk blues di quelli che piacerebbero tanto a Beck, acido e trascinante, con un gran lavoro di chitarre sullo sfondo che impreziosiscono il tutto:
"N.Y.C is wearing make-up, Cinderella daylight breaker, I'm your Dixie,Gipsy Baby"
"Blowing Horns in Heaven": rarefatta e intensa "space ballad" a due voci, che procede scarnificata, quasi per sottrazione per concentrare e rilasciare il pathos appunto nelle parole e nell'unione del canto con Anna Balestrieri:
"Is this all you wanted from me?Darling"
"Heather": un impianto folk blues sporco e selvaggio, ipnotico e cupo col ritornello che parte improvviso all'arma bianca, trascinante e distorto e una suggestiva coda finale strumentale dove la chitarra, sonica, incendiaria e tagliente si prende la scena:
"take me home..."
"Crazy To The Bone": l'atmosfera si fa improvvisamente morbida e delicata per un brano che ci riporta ai precedenti album del nostro, con il piano ad accrescere la tensione e l'armonica ad aggiungere malinconia, senza dimenticare di segnalare ancora una volta la riuscita unione con la voce della Balestrieri:
"I had a dream the other night So fucking strange to have You there just for a while Us,dancing through the shades of Morning glories,me&you The Holy Rain was all but outrageous Tell me darling if this is where You are?'cause All those yellow pages They were empty"
"Sister": una strofa "sinistra" dove regna una calma totalmente apparente che non aspetta altro che esplodere letteralmente nelle invocazioni del ritornello... il risultato è di forte impatto emotivo:
"Don't you know why? So long twisted,poetry of bliss I owe you one....One little secret My little secret"
"Land's End Sanctuary": classica ballad, stavolta con la chitarra portante, solenne nel suo dipanarsi, infarcita da inserti di armonica e piano e un suggestivo uso dei controcanti nel ritornello:
"With You Shine like roses shine... For You I Shine like Roses shine"
"War child": un blues accattivante, ammaliante, con la ritmica potente, tribale e ancora una volta la chitarra elettrica a condire il tutto:
" Call Me War Child Behold You're mine"
"Paper Cuts, Light Green": è un'intensa e sentita ballad per piano e voce a chiudere l'album, impreziosita da giusti e necessari orpelli strumentali e dai controcanti a rilasciare una sensazione di bellezza, prima della ghost track, bluseggiante ed elettronica:
"Life is a Landfill You'll crash and shine through I just want You to hold on To things as they turn Hold on to things as they turn"
Shake - grandipalledifuoco.com
GENERE: punkomanticpsychoblues, come da definizione della band.
PROTAGONISTI: Fabio Parrinello, Anna Balestreri, Alessandro Falzone.
SEGNI PARTICOLARI: terzo album per il progetto del varesino Fabio Parrinello, che questa volta è stato affiancato in tute le fasi della realizzazione dai polistrumentisti Anna Balestreri e Alessandro Falzone.
INGREDIENTI: del repertorio precedente del progetto rimangono il timbro vocale di Parrinello, pieno e tenebroso con una punta di ruvidezza, e il ritmo compassato di alcuni brani. Per il resto, dimenticatevi del Black Eyed Dog autore di ballate portatrici di un romanticismo un po’ noir e aspettatevi un disco molto più ricco di soluzioni e dallo spettro emozionale decisamente più ampio e soprattutto intenso. Il lavoro a tre ha come conseguenza un sound molto più strutturato e dinamico e un’ampia varietà nel lavoro della sezione ritmica e nella tipologia stessa di canzoni presenti sull’album. Come si diceva, le ballate non sono scomparse del tutto, però rappresentano solo una della diverse facce di questo lavoro e si alternano con brani decisamente più aggressivi, sotto tutti i punti di vista, che si ispirano, ogni volta in modo diverso, al rock primigenio, al blues o alla psichedelia, e anche a due di questi tre stili o persino a tutti e tre insieme. Inoltre, anche le ballate stesse non hanno lo stesso mood di quelle passate, avendo perso in morbidezza e messo decisamente in evidenza stati d’animo di tensione e inquietudine. Sensazioni ovviamente esaltate dai citati brani più aggressivi, che le sbattono in faccia all’ascoltatore con modalità sempre diverse ma con un impatto costantemente alto. I tempi della sezione ritmica sono sempre diversi, le coordinate stilistiche anche e lo stesso vale per l’approccio compositivo alle canzoni e il loro sviluppo. Si passa con naturalezza da mid tempo caratterizzate da saliscendi di intensità sonora e vocale, a brani costantemente tirati a momenti in cui si tira il fiato, tutto caratterizzato da un suono, da linee melodiche e da armonie vocali mai accomodanti, che esprimono spontaneamente sensazioni forti e difficili.
DENSITÀ DI QUALITÀ: il fatto che canzoni strutturate in modo così diverso tra loro possano essere accomunate dall’accennata coerenza sonora ed emotiva è il primo pregio di questo lavoro, quello grazie al quale l’ascoltatore è sempre stimolato e sorpreso non solo grazie alla varietà in sé, ma anche, se non soprattutto, al fato che tutti questi elementi diversi si fondono in un contesto fortemente unitario dove l’insieme delle singole parti dà un valore aggiunto importante rispetto alla semplice somma di esse. Sono molti, in realtà, gli album a poter vantare questo punto a favore, ma sono molti meno ad avere la personalità e il gusto estetico di questo. Infatti, non è semplicemente possibile accostare la totalità dell’album ad alcun artista in particolare ed è davvero difficile anche solo trovare un genere che lo definisca compiutamente. Di solito, le definizioni eccentriche come quella citata per riempire il campo, appunto, del genere, sono più fumose che altro, invece questa è perfettamente calzante e questo è già da solo un indice importante dell’unicità stilistica del disco. Infine, va sottolineato il forte realismo che accompagna sempre e comunque tutta questa perizia nel creare qualcosa di unitario e diverso da tutto. Anche solo non considerando i testi e abbandonandosi al potere evocativo della musica, questi brani trasportano quasi fisicamente in un mondo fatto, come si diceva, di sconvolgimenti interiori che quando trovano una valvola di sfogo si tramutano in rabbia e aggressività, ma più spesso restano imprigionati nell’animo di chi li subisce, facendolo ulteriormente soffrire e concedendo solo pochi momenti in cui riuscire a pensare alle cose con lucidità. ‘Too Many Late Nights’ è talmente ispirato e inattaccabile da ogni punto di vista da essere non solo uno dei migliori dischi italiani usciti in questi primi cinque mesi del 2012, ma anche il più spendibile a livello internazionale, perché la particolarità della sua natura e l’abilità con cui è stato realizzato lo rendono necessariamente appetibile a chiunque abbia la possibilità di ascoltarlo. Speriamo si riesca a diffonderlo il più posibile.
VELOCITÀ: cone si diceva, piuttosto varia.
IL TESTO “When I was married to you we had a cat named “L’Amour”, micro, cuddly, sweet, caring. Did nothing but staring at the two of us fading away, always, sideways”.
LA DICHIARAZIONE: “ Dopo due album basati principalmente sul binomio piano/voce o chitarra/voce, sentivo la necessita di tornare a quelle distorsioni ed a quella elettricita sonica con cui sono cresciuto. ”, da un’intervista a ‘Musica su FB’.
IL SITO: ‘Blackeyeddog.bandcamp.com’ dove è possible ascoltare in streaming tutto il disco. Fatelo. Stefano Bartolotta - indie-roccia.it
Torna con il terzo disco Fabio Parrinello, con il suo progetto Black Eyed Dog, in una nuova veste. Se nei primi due dischi il progetto era esclusivo appannaggio suo, con questo disco ha due nuovi collaboratori, tra i quali Anna Balestrieri, che si alterna al canto con Parrinello, ed il sound è decisamente cambiato. Le ballate intimiste di matrice drakeinana hanno lasciato il posto ad un blues elettrico e viscerale, altamente infiammabile, seppure anche in questo caso sono presenti diverse ballate intimiste e introspettive (Crazy to the bone).
Parrinello e soci intendono il blues alla stessa stregua dei primi Grinderman, anche se sono meno cattivi rispetto al gruppo di Nick Cave. Tuttavia, i richiami al rocker australiano ritornano anche nell’evocativa Paper, cuts, light green, ma in questo caso al Cave più mistico, e nella rarefatta elettronica di Blowing horns in heaven, nella quale viene evocato anche l’ultimo Mark Lanegan.
Il disco parte con il gospel blues, intriso di slides di When I was married to you, brano che ci fa capire subito che la direzione intrapresa dai BED è la stessa dei gruppi newyorkesi della fine degli anni ’80, Pussy Galore su tutti. Il trio gioca con le dodici tracce con una semplicità sconvolgente (Dixie gipsy, babe, War child), al punto che sembra che il gruppo provenga direttamente dalle acque fangose del Mississippi, se poi aggiungete il fatto che il disco è stato mixato negli Stati Uniti anche da Hugo Race vi sarà più facile comprendere il valore di questo disco.
GENERE: punkomanticpsychoblues, come da definizione della band.
PROTAGONISTI: Fabio Parrinello, Anna Balestreri, Alessandro Falzone.
SEGNI PARTICOLARI: terzo album per il progetto del varesino Fabio Parrinello, che questa volta è stato affiancato in tute le fasi della realizzazione dai polistrumentisti Anna Balestreri e Alessandro Falzone.
INGREDIENTI: del repertorio precedente del progetto rimangono il timbro vocale di Parrinello, pieno e tenebroso con una punta di ruvidezza, e il ritmo compassato di alcuni brani. Per il resto, dimenticatevi del Black Eyed Dog autore di ballate portatrici di un romanticismo un po’ noir e aspettatevi un disco molto più ricco di soluzioni e dallo spettro emozionale decisamente più ampio e soprattutto intenso. Il lavoro a tre ha come conseguenza un sound molto più strutturato e dinamico e un’ampia varietà nel lavoro della sezione ritmica e nella tipologia stessa di canzoni presenti sull’album. Come si diceva, le ballate non sono scomparse del tutto, però rappresentano solo una della diverse facce di questo lavoro e si alternano con brani decisamente più aggressivi, sotto tutti i punti di vista, che si ispirano, ogni volta in modo diverso, al rock primigenio, al blues o alla psichedelia, e anche a due di questi tre stili o persino a tutti e tre insieme. Inoltre, anche le ballate stesse non hanno lo stesso mood di quelle passate, avendo perso in morbidezza e messo decisamente in evidenza stati d’animo di tensione e inquietudine. Sensazioni ovviamente esaltate dai citati brani più aggressivi, che le sbattono in faccia all’ascoltatore con modalità sempre diverse ma con un impatto costantemente alto. I tempi della sezione ritmica sono sempre diversi, le coordinate stilistiche anche e lo stesso vale per l’approccio compositivo alle canzoni e il loro sviluppo. Si passa con naturalezza da mid tempo caratterizzate da saliscendi di intensità sonora e vocale, a brani costantemente tirati a momenti in cui si tira il fiato, tutto caratterizzato da un suono, da linee melodiche e da armonie vocali mai accomodanti, che esprimono spontaneamente sensazioni forti e difficili.
DENSITÀ DI QUALITÀ: il fatto che canzoni strutturate in modo così diverso tra loro possano essere accomunate dall’accennata coerenza sonora ed emotiva è il primo pregio di questo lavoro, quello grazie al quale l’ascoltatore è sempre stimolato e sorpreso non solo grazie alla varietà in sé, ma anche, se non soprattutto, al fato che tutti questi elementi diversi si fondono in un contesto fortemente unitario dove l’insieme delle singole parti dà un valore aggiunto importante rispetto alla semplice somma di esse. Sono molti, in realtà, gli album a poter vantare questo punto a favore, ma sono molti meno ad avere la personalità e il gusto estetico di questo. Infatti, non è semplicemente possibile accostare la totalità dell’album ad alcun artista in particolare ed è davvero difficile anche solo trovare un genere che lo definisca compiutamente. Di solito, le definizioni eccentriche come quella citata per riempire il campo, appunto, del genere, sono più fumose che altro, invece questa è perfettamente calzante e questo è già da solo un indice importante dell’unicità stilistica del disco. Infine, va sottolineato il forte realismo che accompagna sempre e comunque tutta questa perizia nel creare qualcosa di unitario e diverso da tutto. Anche solo non considerando i testi e abbandonandosi al potere evocativo della musica, questi brani trasportano quasi fisicamente in un mondo fatto, come si diceva, di sconvolgimenti interiori che quando trovano una valvola di sfogo si tramutano in rabbia e aggressività, ma più spesso restano imprigionati nell’animo di chi li subisce, facendolo ulteriormente soffrire e concedendo solo pochi momenti in cui riuscire a pensare alle cose con lucidità. ‘Too Many Late Nights’ è talmente ispirato e inattaccabile da ogni punto di vista da essere non solo uno dei migliori dischi italiani usciti in questi primi cinque mesi del 2012, ma anche il più spendibile a livello internazionale, perché la particolarità della sua natura e l’abilità con cui è stato realizzato lo rendono necessariamente appetibile a chiunque abbia la possibilità di ascoltarlo. Speriamo si riesca a diffonderlo il più posibile.
VELOCITÀ: cone si diceva, piuttosto varia.
IL TESTO “When I was married to you we had a cat named “L’Amour”, micro, cuddly, sweet, caring. Did nothing but staring at the two of us fading away, always, sideways”.
LA DICHIARAZIONE: “ Dopo due album basati principalmente sul binomio piano/voce o chitarra/voce, sentivo la necessita di tornare a quelle distorsioni ed a quella elettricita sonica con cui sono cresciuto. ”, da un’intervista a ‘Musica su FB’.
IL SITO: ‘Blackeyeddog.bandcamp.com’ dove è possible ascoltare in streaming tutto il disco. Fatelo. Stefano Bartolotta - indie-roccia.it
Torna con il terzo disco Fabio Parrinello, con il suo progetto Black Eyed Dog, in una nuova veste. Se nei primi due dischi il progetto era esclusivo appannaggio suo, con questo disco ha due nuovi collaboratori, tra i quali Anna Balestrieri, che si alterna al canto con Parrinello, ed il sound è decisamente cambiato. Le ballate intimiste di matrice drakeinana hanno lasciato il posto ad un blues elettrico e viscerale, altamente infiammabile, seppure anche in questo caso sono presenti diverse ballate intimiste e introspettive (Crazy to the bone).
Parrinello e soci intendono il blues alla stessa stregua dei primi Grinderman, anche se sono meno cattivi rispetto al gruppo di Nick Cave. Tuttavia, i richiami al rocker australiano ritornano anche nell’evocativa Paper, cuts, light green, ma in questo caso al Cave più mistico, e nella rarefatta elettronica di Blowing horns in heaven, nella quale viene evocato anche l’ultimo Mark Lanegan.
Il disco parte con il gospel blues, intriso di slides di When I was married to you, brano che ci fa capire subito che la direzione intrapresa dai BED è la stessa dei gruppi newyorkesi della fine degli anni ’80, Pussy Galore su tutti. Il trio gioca con le dodici tracce con una semplicità sconvolgente (Dixie gipsy, babe, War child), al punto che sembra che il gruppo provenga direttamente dalle acque fangose del Mississippi, se poi aggiungete il fatto che il disco è stato mixato negli Stati Uniti anche da Hugo Race vi sarà più facile comprendere il valore di questo disco.
Vittorio Lannutti - Kathodik.it
Il progetto Black Eyed Dog fa parte di quelle realtà italiane che sono tanto apprezzate all’estero quanto poco conosciute nel nostro Paese. È dal 2007 infatti che la creatura di Fabio Parrinello riscuote consensi e applausi alla fine dei concerti, dallo stivale all’Europa fino agli Stati Uniti. Negli ultimi tempi inoltre la one man band si è allargata grazie ai contributi di Anna Balestrieri e Alessandro Falzone e si è rafforzata grazie al supporto di Fabio Rizzo e della 800A Records (etichetta palermitana che ultimamente ha lanciato una bella idea che potete scoprire qui).Ma veniamo al disco. La band si auto-definisce di genere “punk romantic psycho blues” e se pensiamo che il mixing è stato affidato a gente come Hugo Race e J.D. Foster, il risultato non può che essere pregevole. L’apertura “When i was married to you” ricorda un blues sporco, elettrico e galoppante come una corsa nel deserto. E momenti simili li troviamo ancora in “Heather” e “Sister”, spezzate nel mezzo dalla dolcissima ballata “Crazy to the bone”, e c’è da dire che la tensione è tenuta sempre ad ottimi livelli sia che i pezzi siano elettrici che cantati al piano. Il rimando a Nick Cave è evidente ma “Too many late nights” funziona anche senza riferimenti, funziona come disco maturo di un progetto come quello dei Black Eyed Dog che merita davvero apprezzamenti, rispetto e sostegno. Una delle migliori uscite di questi ultimi mesi. Marco Chiffi - letlovegrow.it
La prima volta che ho sentito l’attacco di “When I was married to you”, brano di apertura del nuovo album dei Black Eyed Dog, mi è subito venuta in mente la colonna sonora di “Fratello, dove sei?” dei Coen: schiavi che zappano la terra, con le catene alle caviglie e il sudore sulle fronte. La stessa canzone mi ha poi ipnotizzata a tal punto da dimenticare in un attimo ogni riferimento a qualsiasi altro genere musicale: è questo uno dei tanti punti di forza di “Too many late nights”, l’essere magnetico e seducente che nemmeno te ne rendi conto, portandoti così all’ultima canzone del disco senza farti sapere come ci sei arrivato e da dove sei partito. Ma andiamo con ordine. I Black Eyed Dog inizialmente erano formati da una persona sola di nome Fabio Parrinello che pubblicava album (due, per la Ghost Records) per lo più acustici, fortemente influenzati da atmosfere malinconiche e sonorità scarne. L’incontro con i compagni di viaggio Alessandro Falzone e Anna Balestrieri ha fatto diventare i Black Eyed Dog un trio e ha fatto pubblicare a Parrinello un nuovo album con una nuova etichetta, la palermitana 800A.
“To many late nights” è un disco che oscilla tra la musica di fine anni Ottanta e i nuovi generi degli anni Novanta (grunge, trip hop), regalando canzoni sofferte, urlate e trascinate nella polvere come “Sister”, oppure sprazzi di soul e dub con “Blowin’ horns in heaven”. Arrivano anche canzoni dalle sfumature folk-psichedeliche come “Heather” e momenti di pura commozione grazie a brani come “Crazy to the bone” e la scura “Land’s end sanctuary”, che diventa uno dei momenti di punta dell’intero disco. Spingendo su sonorità rock blues come con le orecchiabili “Dixie Gipsy, Baby” e “War child”, a chiudere l’album ci pensa la delicata ed intensa “Paper cuts, light green”, caratterizzata da un pianoforte ammaliante che ricorda un ispiratissimo eels. Registrato nei nuovi studi dell’etichetta siciliana 800A Records con la produzione artistica di Fabio Rizzo (Waines, il Pan del Diavolo, VeneziA), l'album si arricchisce delle collaborazioni dei produttori JD Foster, già al lavoro con Calexico, Marc Ribot e altri, e Hugo Race (Nick Cave and The Bad Seeds) che hanno missato cinque brani ciascuno rispettivamente negli Stati Uniti e in Australia. Continuate a seguire i Black Eyed Dog, fidatevi della loro musica e lasciatevi trasportare nel loro mondo.
Il progetto Black Eyed Dog fa parte di quelle realtà italiane che sono tanto apprezzate all’estero quanto poco conosciute nel nostro Paese. È dal 2007 infatti che la creatura di Fabio Parrinello riscuote consensi e applausi alla fine dei concerti, dallo stivale all’Europa fino agli Stati Uniti. Negli ultimi tempi inoltre la one man band si è allargata grazie ai contributi di Anna Balestrieri e Alessandro Falzone e si è rafforzata grazie al supporto di Fabio Rizzo e della 800A Records (etichetta palermitana che ultimamente ha lanciato una bella idea che potete scoprire qui).Ma veniamo al disco. La band si auto-definisce di genere “punk romantic psycho blues” e se pensiamo che il mixing è stato affidato a gente come Hugo Race e J.D. Foster, il risultato non può che essere pregevole. L’apertura “When i was married to you” ricorda un blues sporco, elettrico e galoppante come una corsa nel deserto. E momenti simili li troviamo ancora in “Heather” e “Sister”, spezzate nel mezzo dalla dolcissima ballata “Crazy to the bone”, e c’è da dire che la tensione è tenuta sempre ad ottimi livelli sia che i pezzi siano elettrici che cantati al piano. Il rimando a Nick Cave è evidente ma “Too many late nights” funziona anche senza riferimenti, funziona come disco maturo di un progetto come quello dei Black Eyed Dog che merita davvero apprezzamenti, rispetto e sostegno. Una delle migliori uscite di questi ultimi mesi. Marco Chiffi - letlovegrow.it
La prima volta che ho sentito l’attacco di “When I was married to you”, brano di apertura del nuovo album dei Black Eyed Dog, mi è subito venuta in mente la colonna sonora di “Fratello, dove sei?” dei Coen: schiavi che zappano la terra, con le catene alle caviglie e il sudore sulle fronte. La stessa canzone mi ha poi ipnotizzata a tal punto da dimenticare in un attimo ogni riferimento a qualsiasi altro genere musicale: è questo uno dei tanti punti di forza di “Too many late nights”, l’essere magnetico e seducente che nemmeno te ne rendi conto, portandoti così all’ultima canzone del disco senza farti sapere come ci sei arrivato e da dove sei partito. Ma andiamo con ordine. I Black Eyed Dog inizialmente erano formati da una persona sola di nome Fabio Parrinello che pubblicava album (due, per la Ghost Records) per lo più acustici, fortemente influenzati da atmosfere malinconiche e sonorità scarne. L’incontro con i compagni di viaggio Alessandro Falzone e Anna Balestrieri ha fatto diventare i Black Eyed Dog un trio e ha fatto pubblicare a Parrinello un nuovo album con una nuova etichetta, la palermitana 800A.
“To many late nights” è un disco che oscilla tra la musica di fine anni Ottanta e i nuovi generi degli anni Novanta (grunge, trip hop), regalando canzoni sofferte, urlate e trascinate nella polvere come “Sister”, oppure sprazzi di soul e dub con “Blowin’ horns in heaven”. Arrivano anche canzoni dalle sfumature folk-psichedeliche come “Heather” e momenti di pura commozione grazie a brani come “Crazy to the bone” e la scura “Land’s end sanctuary”, che diventa uno dei momenti di punta dell’intero disco. Spingendo su sonorità rock blues come con le orecchiabili “Dixie Gipsy, Baby” e “War child”, a chiudere l’album ci pensa la delicata ed intensa “Paper cuts, light green”, caratterizzata da un pianoforte ammaliante che ricorda un ispiratissimo eels. Registrato nei nuovi studi dell’etichetta siciliana 800A Records con la produzione artistica di Fabio Rizzo (Waines, il Pan del Diavolo, VeneziA), l'album si arricchisce delle collaborazioni dei produttori JD Foster, già al lavoro con Calexico, Marc Ribot e altri, e Hugo Race (Nick Cave and The Bad Seeds) che hanno missato cinque brani ciascuno rispettivamente negli Stati Uniti e in Australia. Continuate a seguire i Black Eyed Dog, fidatevi della loro musica e lasciatevi trasportare nel loro mondo.
Daniela Calvi - Rockol
Si chiamano come una canzone di Nick Drake, ma oltre al nome ne hanno assorbito le atmosfere cupe e qualche eco profondo. Tuttavia, rispetto ai precedenti lavori (Love is a Dog from Hell, 2007 e Rhaianuledada (Songs to Sissy), 2009) i Black Eyed Dog abbandonano una buona metà di oscurità in favore di suoni più ariosi e delicati, nel segno di un blues pop acustico che sa catturare. A capo del progetto, nato nel 2006 in forma solista, spicca la testa che lo ha partorito: Fabio Perrinello, cantautore varesino innamorato del songwriting statunitense di stampo cupo, ma la proposta degli inizi si è arricchita strada facendo diventando un delizioso trio che vede al suo interno la collaborazione di Alessandro Falzone alle percussioni e Anna Balestrieri alla voce, chitarre e piano. Questo terzo album “Too Many Late Nights”, registrato a Febbraio negli studi palermitani di Fabio Rizzo e mixato da Hugo Race (Nick Cave and The Bad Seeds) e J.D. Foster (Calexico, Marc Ribot, Vinicio Capossela, ecc.) tra Sicilia, U.S.A. È una collezione di 10 tracce, una proposta validissima che rivisita il blues offrendo all'ascoltatore sfumature variegate e proponendolo in veste innovativa, talvolta stravolto da cori impellenti e in stridore con una chitarra in stile classico (Heather), talvolta nella sua forma più semplice con duetti di piano e chitarra e voci intrecciate (Crazy to the Bone). Questo alternarsi di morbidezza e stridore sembra essere il tratto distintivo della band che spezza incessantemente le atmosfere più dilatate con momenti di fortissimo impatto, ritornelli incisivi in cui la voce diventa un grido (Sister) mentre alcune tracce si impongono in tutta la loro oscurità (Land's End Sanctuary) raccontando storie fosche e misteriose nella forma della ballad americana.La collaborazione con Anna Balestrieri e Alessandro Falzone sembra aver modificato dolcemente quello che era lo stile iniziale di Black Eyed Dog dando vita ad un genere che il trio stesso ha denominato "punkromanticpsychoblues". Consigliatissimo per i nostalgici della ballata blues che però non disprezzano quel pizzico di innovazione e che sono pronti a farsi stupire, seppur tenendo i piedi ben saldi nel classico.
Si chiamano come una canzone di Nick Drake, ma oltre al nome ne hanno assorbito le atmosfere cupe e qualche eco profondo. Tuttavia, rispetto ai precedenti lavori (Love is a Dog from Hell, 2007 e Rhaianuledada (Songs to Sissy), 2009) i Black Eyed Dog abbandonano una buona metà di oscurità in favore di suoni più ariosi e delicati, nel segno di un blues pop acustico che sa catturare. A capo del progetto, nato nel 2006 in forma solista, spicca la testa che lo ha partorito: Fabio Perrinello, cantautore varesino innamorato del songwriting statunitense di stampo cupo, ma la proposta degli inizi si è arricchita strada facendo diventando un delizioso trio che vede al suo interno la collaborazione di Alessandro Falzone alle percussioni e Anna Balestrieri alla voce, chitarre e piano. Questo terzo album “Too Many Late Nights”, registrato a Febbraio negli studi palermitani di Fabio Rizzo e mixato da Hugo Race (Nick Cave and The Bad Seeds) e J.D. Foster (Calexico, Marc Ribot, Vinicio Capossela, ecc.) tra Sicilia, U.S.A. È una collezione di 10 tracce, una proposta validissima che rivisita il blues offrendo all'ascoltatore sfumature variegate e proponendolo in veste innovativa, talvolta stravolto da cori impellenti e in stridore con una chitarra in stile classico (Heather), talvolta nella sua forma più semplice con duetti di piano e chitarra e voci intrecciate (Crazy to the Bone). Questo alternarsi di morbidezza e stridore sembra essere il tratto distintivo della band che spezza incessantemente le atmosfere più dilatate con momenti di fortissimo impatto, ritornelli incisivi in cui la voce diventa un grido (Sister) mentre alcune tracce si impongono in tutta la loro oscurità (Land's End Sanctuary) raccontando storie fosche e misteriose nella forma della ballad americana.La collaborazione con Anna Balestrieri e Alessandro Falzone sembra aver modificato dolcemente quello che era lo stile iniziale di Black Eyed Dog dando vita ad un genere che il trio stesso ha denominato "punkromanticpsychoblues". Consigliatissimo per i nostalgici della ballata blues che però non disprezzano quel pizzico di innovazione e che sono pronti a farsi stupire, seppur tenendo i piedi ben saldi nel classico.
Barbara Della Porta - stordisco.blogspot.com
Fabio Parrinello abbandona quasi del tutto la forma delle ballads acustiche dei sui primi lavori trasformando la formazione in un trio che include le percussioni di Alessandro Falzone e il piano di Anna Balestrieri. Black Eyed Dog torna alla carica con un disco di blues sanguigno e rock urlato, dieci tracce con occhiaie violente per aver visto troppe notti insonni. Dopo aver introdotto It Turns You On nella nostra compilation è un piacere presentarvi Too Many Late Nights, il disco che vi terrà svegli per la prossima settimana. Una serie di distorsioni elettro blues dall'effetto sconvolgente, quasi western rock. A pensarci ci starebbero alla perfezione Fabio e la sua band in un polveroso saloon, con i cavalli parcheggiati fuori e cowboy seduti a barare a carte e prendersi a cazzotti. Quindi. Mirate la sputacchiera e ordinate un altro giro al barman. Buon ascolto!
Fabio Parrinello abbandona quasi del tutto la forma delle ballads acustiche dei sui primi lavori trasformando la formazione in un trio che include le percussioni di Alessandro Falzone e il piano di Anna Balestrieri. Black Eyed Dog torna alla carica con un disco di blues sanguigno e rock urlato, dieci tracce con occhiaie violente per aver visto troppe notti insonni. Dopo aver introdotto It Turns You On nella nostra compilation è un piacere presentarvi Too Many Late Nights, il disco che vi terrà svegli per la prossima settimana. Una serie di distorsioni elettro blues dall'effetto sconvolgente, quasi western rock. A pensarci ci starebbero alla perfezione Fabio e la sua band in un polveroso saloon, con i cavalli parcheggiati fuori e cowboy seduti a barare a carte e prendersi a cazzotti. Quindi. Mirate la sputacchiera e ordinate un altro giro al barman. Buon ascolto!
The Breakfast Jumpers
La differenza che passa fra Nick Drake e Tom Waits. Fra il pizzicare corde e il percuoterle con dita rozze. Fra un cantato flebile e poetico ed uno roco e carnale. Fra un uomo in solitario che narra le sue storie per se stesso ed uno che, quelle storie, le racconta agli amici per condividerle. Sta tutta in questo accostamento, probabilmente, l’evoluzione stilistica del progetto Black Eyed Dog facente capo a Fabio Parrinello. Due album pubblicati per la Ghost Records (“Love Is A Dog From Hell” del 2007 e “Rhaianuledada” del 2009) che, già a partire dallo pseudonimo scelto, erano drakeiani fino al midollo. E adesso questo terzo capitolo della sua discografia per il quale il cantautore di Varese, però, cambia etichetta e s’affida alla palermitana 800A e cambia cifra sonora facendosi accompagnare da una band vera e propria già a partire dalle fasi preliminari. Anna Balestrieri (qui a piano, voce e altro) e Alessandro Falzone (qui a batteria, chitarra e altro) entrano in pianta stabile nel progetto contribuendo alla sua crescita. La dimensione solista di Black Eyed Dog smette di essere tale non soltanto numericamente parlando, ma anche e soprattutto dal punto di vista dell’approccio compositivo. E’ un sound più corposo quello di Too Many Late Nights, un sound che muta punti di riferimento legandosi a modelli cantautorali che, per natura e storia, fanno del supporto di altri elementi la propria forza: il già citato grande vecchio Waits (vedi When I Was Married To You o Dixie Gipsy, Babe), ma anche le venature scurissime e contaminate di Nick Cave (Blowing Horns In Heaven, War Child) e le cavalcate elettriche e sacrali di Mark Lanegan (It Turns You On, Crazy To The Bone, Land's End Sanctuary). E poi i mixaggi equamente suddivisi fra JD Foster e Hugo Race, altri due che in quanto a blues, polvere e psych sanno il fattaccio loro. Tutti insegnamenti che Parrinello fa suoi e che – lo ripetiamo ancora una volta – riesce a mettere su disco grazie ad un modus corale prima assente e che, una volta intrapreso, accresce enormemente la portata e l’impatto di un progetto già prima convincente.
La differenza che passa fra Nick Drake e Tom Waits. Fra il pizzicare corde e il percuoterle con dita rozze. Fra un cantato flebile e poetico ed uno roco e carnale. Fra un uomo in solitario che narra le sue storie per se stesso ed uno che, quelle storie, le racconta agli amici per condividerle. Sta tutta in questo accostamento, probabilmente, l’evoluzione stilistica del progetto Black Eyed Dog facente capo a Fabio Parrinello. Due album pubblicati per la Ghost Records (“Love Is A Dog From Hell” del 2007 e “Rhaianuledada” del 2009) che, già a partire dallo pseudonimo scelto, erano drakeiani fino al midollo. E adesso questo terzo capitolo della sua discografia per il quale il cantautore di Varese, però, cambia etichetta e s’affida alla palermitana 800A e cambia cifra sonora facendosi accompagnare da una band vera e propria già a partire dalle fasi preliminari. Anna Balestrieri (qui a piano, voce e altro) e Alessandro Falzone (qui a batteria, chitarra e altro) entrano in pianta stabile nel progetto contribuendo alla sua crescita. La dimensione solista di Black Eyed Dog smette di essere tale non soltanto numericamente parlando, ma anche e soprattutto dal punto di vista dell’approccio compositivo. E’ un sound più corposo quello di Too Many Late Nights, un sound che muta punti di riferimento legandosi a modelli cantautorali che, per natura e storia, fanno del supporto di altri elementi la propria forza: il già citato grande vecchio Waits (vedi When I Was Married To You o Dixie Gipsy, Babe), ma anche le venature scurissime e contaminate di Nick Cave (Blowing Horns In Heaven, War Child) e le cavalcate elettriche e sacrali di Mark Lanegan (It Turns You On, Crazy To The Bone, Land's End Sanctuary). E poi i mixaggi equamente suddivisi fra JD Foster e Hugo Race, altri due che in quanto a blues, polvere e psych sanno il fattaccio loro. Tutti insegnamenti che Parrinello fa suoi e che – lo ripetiamo ancora una volta – riesce a mettere su disco grazie ad un modus corale prima assente e che, una volta intrapreso, accresce enormemente la portata e l’impatto di un progetto già prima convincente.
Emanuele Brunetto - ilcibicida.com
A black eyed dog he knew my name
A black eyed dog he knew my name
Il nostro viaggio parte proprio da qui, da uno dei migliori songwriter di sempre, sottovalutato e poi riscoperto dopo quella notte al Tryptizol. Infatti, non è mistero che i Black eyed dog fondano le proprie radici in quel mondo sottile di Nick Drake, compianto artista dalla luna rosa. Proprio dall’artista birmano Fabio Parrinello e soci sembrano voler rapire quelle atmosfere poetiche e a tratti eteree, tipiche di un certo tipo di alternative, che oggi, dopo quasi tre anni, torna nuovamente a far parlare di sé attraverso le musicali idee di Anna Balestrieri e Alessandro Falzone, parti rodate di un meccanismo che rispetto a Love is a Dog from Hell e Rhaianuledada (Songs To Sissy)”, sembrano riuscire a produrre un lavoro ancor più diretto e per certi versi più maturo. Un platter che tralascia il sentiero della docilità, per esporsi su piani integrati, che sorprendono e convincono attraverso un disco che si sviluppa su corde distorte e accenti ben calibrati
L’opera terza della band, edita dalla sempre attenta 800ARecords, si veste di luce propria grazie anche alla buona art work, capace di fondere sensazioni post-apocalittiche e tribali sguardi passatisti, perfetta metafora del mondo racchiuso nelle 10 ammalianti tracce prodotte da Fabio Rizzo. L’insieme di sensazioni che fuoriescono dalla copertina si allegano bene all’auto definizione di Punk Romantic Psycho Blues, favolistico viatico musicale in cui effervescenti sensazioni umorali si mescolano tra loro promuovendo brani diretti come When i was married to you, traccia d’alto livello emotivo e compositivo, che con le sue moby sensation propone un andamento ciclico e cadenzato, appoggiato sulla calda voce caveiana. Un magnifico brano d’overture che si inerpica verso una saturazione di note. Azioni soniche che si fanno declivio attraverso un fade out capace di raccogliere ottime sensazioni, per poi tuffarsi tra le braccia di Turns you on. L’andamento blandamente rumoristico offre poi interessanti passaggi proto industrial, allineati attorno ad un sorprendente papier collage che traccia le sensazioni resofoniche di Dixie Gipsy, Babe ed il sapore d’oltreoceano di Blowing horns in heaven. I suoni carichi ci conducono poi verso la dolce melodia di Heather, di certo tra le migliori release del nuovo disco, da cui partono sensazioni A toy orchestra che ritroviamo anche in Paper cuts, light green, brano che da solo vale il modico prezzo del cd. Le sensazioni sonore si sfaccettano infine nel prosieguo del disco, da cui emergono vocalità Davis (Sister)e beat anni 90 (War child), potenziato da un ottimo lavoro al drum set.
Insomma..un disco che trova il suo maximum nei tempi dilatati e nel tentativo spesso riuscito di definire una narrazione attraverso un meltin’pot di pathos e rabbia che va a chiudersi con un inattesa ghost track dall’andamento alternativo alquanto influenzato da un certo tipo di elettronica applicata ad una via industriale.
…Pertanto, valutando ad oggi l’operato della label palermitana mi sento serenamente di consigliare la sottoscrizione dell’abbonamento vitalizio lanciato dalla 800A Records, che prevede a soli 23€ di tutte le future produzioni dell'etichetta…per una geniale e futurista metodologia di marketing.
A black eyed dog he knew my name
A black eyed dog he knew my name
Il nostro viaggio parte proprio da qui, da uno dei migliori songwriter di sempre, sottovalutato e poi riscoperto dopo quella notte al Tryptizol. Infatti, non è mistero che i Black eyed dog fondano le proprie radici in quel mondo sottile di Nick Drake, compianto artista dalla luna rosa. Proprio dall’artista birmano Fabio Parrinello e soci sembrano voler rapire quelle atmosfere poetiche e a tratti eteree, tipiche di un certo tipo di alternative, che oggi, dopo quasi tre anni, torna nuovamente a far parlare di sé attraverso le musicali idee di Anna Balestrieri e Alessandro Falzone, parti rodate di un meccanismo che rispetto a Love is a Dog from Hell e Rhaianuledada (Songs To Sissy)”, sembrano riuscire a produrre un lavoro ancor più diretto e per certi versi più maturo. Un platter che tralascia il sentiero della docilità, per esporsi su piani integrati, che sorprendono e convincono attraverso un disco che si sviluppa su corde distorte e accenti ben calibrati
L’opera terza della band, edita dalla sempre attenta 800ARecords, si veste di luce propria grazie anche alla buona art work, capace di fondere sensazioni post-apocalittiche e tribali sguardi passatisti, perfetta metafora del mondo racchiuso nelle 10 ammalianti tracce prodotte da Fabio Rizzo. L’insieme di sensazioni che fuoriescono dalla copertina si allegano bene all’auto definizione di Punk Romantic Psycho Blues, favolistico viatico musicale in cui effervescenti sensazioni umorali si mescolano tra loro promuovendo brani diretti come When i was married to you, traccia d’alto livello emotivo e compositivo, che con le sue moby sensation propone un andamento ciclico e cadenzato, appoggiato sulla calda voce caveiana. Un magnifico brano d’overture che si inerpica verso una saturazione di note. Azioni soniche che si fanno declivio attraverso un fade out capace di raccogliere ottime sensazioni, per poi tuffarsi tra le braccia di Turns you on. L’andamento blandamente rumoristico offre poi interessanti passaggi proto industrial, allineati attorno ad un sorprendente papier collage che traccia le sensazioni resofoniche di Dixie Gipsy, Babe ed il sapore d’oltreoceano di Blowing horns in heaven. I suoni carichi ci conducono poi verso la dolce melodia di Heather, di certo tra le migliori release del nuovo disco, da cui partono sensazioni A toy orchestra che ritroviamo anche in Paper cuts, light green, brano che da solo vale il modico prezzo del cd. Le sensazioni sonore si sfaccettano infine nel prosieguo del disco, da cui emergono vocalità Davis (Sister)e beat anni 90 (War child), potenziato da un ottimo lavoro al drum set.
Insomma..un disco che trova il suo maximum nei tempi dilatati e nel tentativo spesso riuscito di definire una narrazione attraverso un meltin’pot di pathos e rabbia che va a chiudersi con un inattesa ghost track dall’andamento alternativo alquanto influenzato da un certo tipo di elettronica applicata ad una via industriale.
…Pertanto, valutando ad oggi l’operato della label palermitana mi sento serenamente di consigliare la sottoscrizione dell’abbonamento vitalizio lanciato dalla 800A Records, che prevede a soli 23€ di tutte le future produzioni dell'etichetta…per una geniale e futurista metodologia di marketing.
Loris Gualdi - music-on-tnt.com
Dimenticatevi quasi del tutto di Nick Drake, dimenticatevi delle soffici ballate notturne al sapor di “luna rosa” che componevano il mosaico musicale di Black Eyed Dog apprezzato nelle precedenti prove di studio. Il cambiamento era necessario, onde evitare di emulare se stesso e dimostrare a tutti che non si vive sempre delle stesse, seppur nobili influenze. Quello che era in tutto e per tutto un progetto solista adesso veste gli abiti più elaborati del trio; alla voce di Fabio Perrinello si aggiungono Alessandro Falzone alle percussioni e Anna Balestrieri alla voce, chitarre e piano. “Too Many Late Nights” sputa fuori dieci brani in stile blues rock a tinte scure, spiazzando chi aveva incrociato sul proprio cammino i due dischi precedenti. Allo stesso tempo la nuova scintilla non tarda ad accendersi quando, sin dai primissimi respiri di “When I Was Married To You” è chiaro che ci si trova al cospetto di un signor disco. Il fuoco di un blues primitivo incendia la maggior parte degli episodi in scaletta, mentre lievi reminiscenze del Nick Drake di “Pink Moon” vivono solo di riflesso. Il lavoro sulla componente percussiva, spesso in primo piano, richiamano in mente Nick Cave, mentre le atmosfere ubriache e notturne li avvicinano concettualmente a Tom Waits. Certo, paragoni forti, ma sono soprattuto paramentri necessari a spiegare meglio quello che vive nei solchi del disco. Un album che non vive di mera forma, puntando soprattutto sulla sostanza di brani profondi e lirici, distillando in poco più di trentacinque minuti un liquore denso di emozioni e suggestioni antiche. Caldo come le più incendiarie notti d’estate ed elegante come la più bella delle danzatrici del ventre, il nuovo lavoro di, anzi DEI Black Eyed Dog è tra le più interessanti novità di questo 2012.
Dimenticatevi quasi del tutto di Nick Drake, dimenticatevi delle soffici ballate notturne al sapor di “luna rosa” che componevano il mosaico musicale di Black Eyed Dog apprezzato nelle precedenti prove di studio. Il cambiamento era necessario, onde evitare di emulare se stesso e dimostrare a tutti che non si vive sempre delle stesse, seppur nobili influenze. Quello che era in tutto e per tutto un progetto solista adesso veste gli abiti più elaborati del trio; alla voce di Fabio Perrinello si aggiungono Alessandro Falzone alle percussioni e Anna Balestrieri alla voce, chitarre e piano. “Too Many Late Nights” sputa fuori dieci brani in stile blues rock a tinte scure, spiazzando chi aveva incrociato sul proprio cammino i due dischi precedenti. Allo stesso tempo la nuova scintilla non tarda ad accendersi quando, sin dai primissimi respiri di “When I Was Married To You” è chiaro che ci si trova al cospetto di un signor disco. Il fuoco di un blues primitivo incendia la maggior parte degli episodi in scaletta, mentre lievi reminiscenze del Nick Drake di “Pink Moon” vivono solo di riflesso. Il lavoro sulla componente percussiva, spesso in primo piano, richiamano in mente Nick Cave, mentre le atmosfere ubriache e notturne li avvicinano concettualmente a Tom Waits. Certo, paragoni forti, ma sono soprattuto paramentri necessari a spiegare meglio quello che vive nei solchi del disco. Un album che non vive di mera forma, puntando soprattutto sulla sostanza di brani profondi e lirici, distillando in poco più di trentacinque minuti un liquore denso di emozioni e suggestioni antiche. Caldo come le più incendiarie notti d’estate ed elegante come la più bella delle danzatrici del ventre, il nuovo lavoro di, anzi DEI Black Eyed Dog è tra le più interessanti novità di questo 2012.
Enrico Amendola - indieforbunnies.com
Supportato da Alessandro Falzone (batteria, chitarre e percussioni) e Anna Balestieri (voce, chitarra, cigar box e piano) torna in grande stile Fabio Parrinello a.k.a. Black Eyed Dog con la sua ultima fatica: Too Many Late Nights, prodotto da Fabio Rizzo (Waines, Il pan del Diavolo, VeneziA) e registrato negli studi dell’800A Records. Dopo Love is a Dog from Hell del 2007 e Rhaianuledada del 2009, una delle figure più sorprendenti del panorama indie nostrano degli ultimi 5 anni si ripresenta al pubblico italiano e internazionale con un album che lo farà amare ancora di più dai suo fan e, sicuramente, gliene procurerà altri. Molti altri.
Dalla cavalcata di It turns you on e i ritmi pulsanti e indiavolati di When I was married to you e Heather alla melodia soffusa di Blowin’ horns in Heaven e l’eccezionale Crazy to the bone, Black Eyed Dog si destreggia in una varietà stilistica notevole, dando un saggio di come debba essere valorizzata una voce ombrosa e calda come la sua.
Il terzo lavoro del giramondo di Varese classe 1979, si diceva, segue i primi due album che tanto bene avevano impressionato coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltarli, riproponendo sul palcoscenico un personaggio che merita davvero di essere valorizzato e conosciuto.
Un sound che fonde insieme blues, rock, Mars Volta e Beck, passando per Nick Drake e Tom Waits, con i pezzi in acustica decisamente da applausi.
Insomma, gli indizi che ci erano stati dati dai primi due lavori si confermano in questo nuovo album: accattivante e aggressivo, introspettivo e melodico, Too Many Late Nights mostra musicalmente una certa evoluzione dell’artista, vuoi per gli ammiccamenti alla musica elettronica, vuoi per le distorsioni retrò: un disco da ascoltare e riascoltare, per immergersi nelle atmosfere che vengono disegnate con maestria e lasciarsi semplicemente trasportare.
In più una chicca per gli amanti del genere.
Le 10 tracce dell’album sono infatti mixate da una coppia d’eccezione: Jd Foster e Hugo Race (ex Nick Cave and the bad seeds) hanno messo mano ad un album già di per se ottimo, dando comunque quel tocco in più che non fai male.
Supportato da Alessandro Falzone (batteria, chitarre e percussioni) e Anna Balestieri (voce, chitarra, cigar box e piano) torna in grande stile Fabio Parrinello a.k.a. Black Eyed Dog con la sua ultima fatica: Too Many Late Nights, prodotto da Fabio Rizzo (Waines, Il pan del Diavolo, VeneziA) e registrato negli studi dell’800A Records. Dopo Love is a Dog from Hell del 2007 e Rhaianuledada del 2009, una delle figure più sorprendenti del panorama indie nostrano degli ultimi 5 anni si ripresenta al pubblico italiano e internazionale con un album che lo farà amare ancora di più dai suo fan e, sicuramente, gliene procurerà altri. Molti altri.
Dalla cavalcata di It turns you on e i ritmi pulsanti e indiavolati di When I was married to you e Heather alla melodia soffusa di Blowin’ horns in Heaven e l’eccezionale Crazy to the bone, Black Eyed Dog si destreggia in una varietà stilistica notevole, dando un saggio di come debba essere valorizzata una voce ombrosa e calda come la sua.
Il terzo lavoro del giramondo di Varese classe 1979, si diceva, segue i primi due album che tanto bene avevano impressionato coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltarli, riproponendo sul palcoscenico un personaggio che merita davvero di essere valorizzato e conosciuto.
Un sound che fonde insieme blues, rock, Mars Volta e Beck, passando per Nick Drake e Tom Waits, con i pezzi in acustica decisamente da applausi.
Insomma, gli indizi che ci erano stati dati dai primi due lavori si confermano in questo nuovo album: accattivante e aggressivo, introspettivo e melodico, Too Many Late Nights mostra musicalmente una certa evoluzione dell’artista, vuoi per gli ammiccamenti alla musica elettronica, vuoi per le distorsioni retrò: un disco da ascoltare e riascoltare, per immergersi nelle atmosfere che vengono disegnate con maestria e lasciarsi semplicemente trasportare.
In più una chicca per gli amanti del genere.
Le 10 tracce dell’album sono infatti mixate da una coppia d’eccezione: Jd Foster e Hugo Race (ex Nick Cave and the bad seeds) hanno messo mano ad un album già di per se ottimo, dando comunque quel tocco in più che non fai male.
Andrea Bettoncelli - rockshock.it
Dopo due album e tre anni di silenzio è uscito ieri, 11 Maggio 2012, “Too Many Late Nights”, il nuovo album dei Black Eyed Dog, prodotto da Fabio Rizzo (Waines) e registrato presso gli studi dell’800A Records. Cuore palpitante dei Black eyed Dog è Fabio Parrinello, Varesino di nascita ma anima errante in continuo movimento e ricerca. Per questo nuovo progetto, Fabio sceglie come compagni di avventura Anna Balestrieri (voce, chitarra, cigar box e piano) e Alessandro Falzone (batteria, chitarra e percussioni).
”Punk Romantic Psycho Blues” è la definizione che i Black eyed Dog danno all’album; ascoltandolo ci troviamo concretamente in queste atmosfere, l’aria che si respira è molto anni ’80, blues e rock robotico si intrecciano alla calda e profonda voce di Fabio, fino a farci immergere emotivamente in ballate acustiche da urlo che ci riportano al vecchio stile dei precedenti lavori.
L’album ci regala 10 tracce e si apre con ” When I Was Married To You”, quasi in modo evocativo, ritmi cupi e serrati ci fanno da subito capire che la strada da percorrere è intensa, forse anche drammatica. Eliminiamo il forse, la drammaticità c’è e con “Blow Horns In Heaven” ne abbiamo la conferma, sembra quasi di essere in una valle desolata dove le certezze non ci sono più, la tensione cresce ma non esplode, rimane dentro. Nella valle desolata si alza il vento della malinconia e inizia a parlarci con “Crazy To The Bone”, stupenda ballata.
Un disco dal sound “straniero”, arricchito dalla collaborazione al mix di JD Foster e Hugo Race. Un disco importante, pieno di emozioni contrastanti, viscerale, che può fare male, come affermava Fabio Parrinello in una vecchia intervista : ”Per me è stato molto terapeutico, comunque, riuscire a vomitare fuori tutto il buio che sentivo”.
”Punk Romantic Psycho Blues” è la definizione che i Black eyed Dog danno all’album; ascoltandolo ci troviamo concretamente in queste atmosfere, l’aria che si respira è molto anni ’80, blues e rock robotico si intrecciano alla calda e profonda voce di Fabio, fino a farci immergere emotivamente in ballate acustiche da urlo che ci riportano al vecchio stile dei precedenti lavori.
L’album ci regala 10 tracce e si apre con ” When I Was Married To You”, quasi in modo evocativo, ritmi cupi e serrati ci fanno da subito capire che la strada da percorrere è intensa, forse anche drammatica. Eliminiamo il forse, la drammaticità c’è e con “Blow Horns In Heaven” ne abbiamo la conferma, sembra quasi di essere in una valle desolata dove le certezze non ci sono più, la tensione cresce ma non esplode, rimane dentro. Nella valle desolata si alza il vento della malinconia e inizia a parlarci con “Crazy To The Bone”, stupenda ballata.
Un disco dal sound “straniero”, arricchito dalla collaborazione al mix di JD Foster e Hugo Race. Un disco importante, pieno di emozioni contrastanti, viscerale, che può fare male, come affermava Fabio Parrinello in una vecchia intervista : ”Per me è stato molto terapeutico, comunque, riuscire a vomitare fuori tutto il buio che sentivo”.
Claudia Picone - eyeonmagazine.it
Un lavoro dal forte stampo europeo, non per enfasi spasmodica, ma per una sincera valutazione dopo aver fatto girare una sola volta sotto il lettore questo Too many late nights, nuovo disco per Black Eyed Dog, ovvero Fabio Parrinello alla voce, mandolino elettrico e piano che, a capo di un nuovo trio che vede Alessandro Falzone alla batteria, chitarre e percussioni ed Anna Balestrieri alla voce, chitarra, cigar box e piano, torna con una direttrice sonica tutta riformata da come lo si era conosciuto nelle produzioni precedenti, una dimensione sfaccettata che abbraccia – a detta del trio – la quadratura “Punk Romantic Psycho Blues”, un ibrido rock che da una parte suona come un rifugio intimo e vibrante, dall’altra pressa sull’onda lunga dell’elettricità distorta sopra marasmi indiavolati e sobillazioni epidermiche. E le declamazioni poi fanno fede, dieci tracce che esprimono appieno la diaspora sonora di due fronti ben distinti che non hanno rispettivamente nessuna intenzione di mollare il loro colpo mancino all’ascoltatore; sarà la sua natura “meticcia”, il suo essere poesia e materia grezza librata in intarsi psichedelici che fanno di questa tracklist una struggenza turbata ed inquieta, cupa, luminosa, narcolettica e sensoriale, con squarci improvvisi e dolcezze inarrivabili; il limo del Mississippi e le intemperie amperiche dell’East-Coast danno linguaggi e cifre per ribaltare ancora una volta la propria concezione di suono, come nelle ombre woodooistiche di un vecchio grammofono della Decca (“When I was married to you”), il footstompin’ di slide e Batoun Rouge maledetti ("Dixie Gipsy, babe"), i mugugni neri di un Cave che si rotola nelle fiamme di un demone di passaggio (“Heather”) o la dolcezza ubriaca spalmata sulla tastiera di un pianoforte che fa sesso melodico con un’armonica a bocca (“Crazy to the bone”). Bello come un graffio sanguinante di una scomoda follia, il disco ti fa suo in pochissimi minuti, sarà per l’odore nicotinico di Waits che chiazza (“Sister” e “Paper cuts, light green”) o magari per l’indole ruspante e genuina che prende fuoco quando meno te l’aspetti, fatto stà che se BED produce nella sua arte miraggi di note al peyote, il nocciolo del suo “border sound” è un ipnotismo potenziato, forte di quel suo/loro gusto per lo spaesamento onirico al confine di un buio, di una notte che non trova sponde per addomesticarsi. E’ in arrivo una bellezza torbida per indemoniare di classe uno spicchio della nostra esistenza.
Un lavoro dal forte stampo europeo, non per enfasi spasmodica, ma per una sincera valutazione dopo aver fatto girare una sola volta sotto il lettore questo Too many late nights, nuovo disco per Black Eyed Dog, ovvero Fabio Parrinello alla voce, mandolino elettrico e piano che, a capo di un nuovo trio che vede Alessandro Falzone alla batteria, chitarre e percussioni ed Anna Balestrieri alla voce, chitarra, cigar box e piano, torna con una direttrice sonica tutta riformata da come lo si era conosciuto nelle produzioni precedenti, una dimensione sfaccettata che abbraccia – a detta del trio – la quadratura “Punk Romantic Psycho Blues”, un ibrido rock che da una parte suona come un rifugio intimo e vibrante, dall’altra pressa sull’onda lunga dell’elettricità distorta sopra marasmi indiavolati e sobillazioni epidermiche. E le declamazioni poi fanno fede, dieci tracce che esprimono appieno la diaspora sonora di due fronti ben distinti che non hanno rispettivamente nessuna intenzione di mollare il loro colpo mancino all’ascoltatore; sarà la sua natura “meticcia”, il suo essere poesia e materia grezza librata in intarsi psichedelici che fanno di questa tracklist una struggenza turbata ed inquieta, cupa, luminosa, narcolettica e sensoriale, con squarci improvvisi e dolcezze inarrivabili; il limo del Mississippi e le intemperie amperiche dell’East-Coast danno linguaggi e cifre per ribaltare ancora una volta la propria concezione di suono, come nelle ombre woodooistiche di un vecchio grammofono della Decca (“When I was married to you”), il footstompin’ di slide e Batoun Rouge maledetti ("Dixie Gipsy, babe"), i mugugni neri di un Cave che si rotola nelle fiamme di un demone di passaggio (“Heather”) o la dolcezza ubriaca spalmata sulla tastiera di un pianoforte che fa sesso melodico con un’armonica a bocca (“Crazy to the bone”). Bello come un graffio sanguinante di una scomoda follia, il disco ti fa suo in pochissimi minuti, sarà per l’odore nicotinico di Waits che chiazza (“Sister” e “Paper cuts, light green”) o magari per l’indole ruspante e genuina che prende fuoco quando meno te l’aspetti, fatto stà che se BED produce nella sua arte miraggi di note al peyote, il nocciolo del suo “border sound” è un ipnotismo potenziato, forte di quel suo/loro gusto per lo spaesamento onirico al confine di un buio, di una notte che non trova sponde per addomesticarsi. E’ in arrivo una bellezza torbida per indemoniare di classe uno spicchio della nostra esistenza.
Max Sannella - Shiver
Dopo tre anni, ecco tornare il progetto Black Eyed Dog di Fabio Parrinello con il seguito dell’acclamato Rhaianuledada, chiamato Too Many Late Nights. Il superstite cyberpunk della copertina ci dà il benvenuto in un reame dispotico e pieno di orrore, di enormi paesaggi desolati e di un "nuovo Far West" dove sembra vincere la legge del più forte. Sembra essere questa inquietudine ad attraversare come una scarica elettrica il lavoro, dalla prima e sorprendente When I Was Married to You fino alla soffusa e dolce Paper Cuts, Light Green. Accanto al leader Fabio Parrinello (voce, piano e mandolino elettrico) troviamo Anna Balestrieri (voce, chitarra, cigar box e piano) e Alessandro Falzone (batteria, chitarre, percussioni) già ben coinvolti nel progetto e nelle atmosfere dei Black Eyed Dog anche grazie ad un’intensa attività live. Il tentativo di creare un lavoro con respiro internazionale sicuramente è notevole, a partire dalle sonorità complesse, dagli arrangiamenti, dal contributo di personalità internazionali (JD Foster e Hugo Race che, rispettivamente negli Stati Uniti e in Australia, hanno mixato le tracce dell’album) e dai pezzi di sicuro impatto. Chi si aspetta un disco tutto ballate però si troverà fuori strada: Parrinello sembra voler fare evolvere la propria creatura, mantenendo però la profondità e l’emotività del suono che lo aveva lanciato. Il tutto condito dalla propria profonda voce, che riempie i vuoti lasciati dagli strumenti con andamento robotico, memore di molti gruppi anni 80. Ma questo non fa altro che aumentare l’effetto straniante della musica, e quindi la propria efficacia. When I Was Married to You inganna l’ascoltatore, presentando uno scenario acustico iniziale (già però contaminato dall’elettronica e dalle percussioni) che si libera in un pezzo tutto sommato convenzionale, ma che già contiene quella tensione drammatica che non esplode mai, e che è presente fino all’ultimo istante di questo Too Many Late NIghts. In It Turns You On la voce del front man richiama Gavin Friday e John Grant mentre tutt’attorno percussioni pesanti come mortai creano un terreno fragile su cui camminare. L’agitazione arriva forse al culmine nella nevrotica Dixie Gipsy, Babe. La parte centrale dell’album richiama maggiormente il passato della band, ma con riserve. Blowing Horns in Heaven è funerea, cupa, desolata, attraversata da droni agitati che non trovano mai pace. Heather è la marcia della nuova frontiera, così come Sister e War Child, squassate anche dalle esplosioni al microfono della Balestrieri, che aumentano ulteriormente la distopia insita nel lavoro, assieme ai giri ipnotici di chitarra, alle percussioni e all’elettronica. Crazy to the Bone, Land’s End Sanctuary e Paper Cuts, Light Green sono invece tenere e bellissime ballate perfette per il giorno dell’apocalisse. La voce porta avanti una rassegnazione e una malinconia sincere, diventando un sussurro, un lamento nella nebbia del deserto. Decisamente un album spiazzante per chi già conosceva il progetto, ma sicuramente valido, emozionante e allo stesso tempo disturbante. La durata brevissima lo fa sembrare quasi una piccola parentesi, un viaggio in un mondo altro, forse non molto lontano da qui.
Dopo tre anni, ecco tornare il progetto Black Eyed Dog di Fabio Parrinello con il seguito dell’acclamato Rhaianuledada, chiamato Too Many Late Nights. Il superstite cyberpunk della copertina ci dà il benvenuto in un reame dispotico e pieno di orrore, di enormi paesaggi desolati e di un "nuovo Far West" dove sembra vincere la legge del più forte. Sembra essere questa inquietudine ad attraversare come una scarica elettrica il lavoro, dalla prima e sorprendente When I Was Married to You fino alla soffusa e dolce Paper Cuts, Light Green. Accanto al leader Fabio Parrinello (voce, piano e mandolino elettrico) troviamo Anna Balestrieri (voce, chitarra, cigar box e piano) e Alessandro Falzone (batteria, chitarre, percussioni) già ben coinvolti nel progetto e nelle atmosfere dei Black Eyed Dog anche grazie ad un’intensa attività live. Il tentativo di creare un lavoro con respiro internazionale sicuramente è notevole, a partire dalle sonorità complesse, dagli arrangiamenti, dal contributo di personalità internazionali (JD Foster e Hugo Race che, rispettivamente negli Stati Uniti e in Australia, hanno mixato le tracce dell’album) e dai pezzi di sicuro impatto. Chi si aspetta un disco tutto ballate però si troverà fuori strada: Parrinello sembra voler fare evolvere la propria creatura, mantenendo però la profondità e l’emotività del suono che lo aveva lanciato. Il tutto condito dalla propria profonda voce, che riempie i vuoti lasciati dagli strumenti con andamento robotico, memore di molti gruppi anni 80. Ma questo non fa altro che aumentare l’effetto straniante della musica, e quindi la propria efficacia. When I Was Married to You inganna l’ascoltatore, presentando uno scenario acustico iniziale (già però contaminato dall’elettronica e dalle percussioni) che si libera in un pezzo tutto sommato convenzionale, ma che già contiene quella tensione drammatica che non esplode mai, e che è presente fino all’ultimo istante di questo Too Many Late NIghts. In It Turns You On la voce del front man richiama Gavin Friday e John Grant mentre tutt’attorno percussioni pesanti come mortai creano un terreno fragile su cui camminare. L’agitazione arriva forse al culmine nella nevrotica Dixie Gipsy, Babe. La parte centrale dell’album richiama maggiormente il passato della band, ma con riserve. Blowing Horns in Heaven è funerea, cupa, desolata, attraversata da droni agitati che non trovano mai pace. Heather è la marcia della nuova frontiera, così come Sister e War Child, squassate anche dalle esplosioni al microfono della Balestrieri, che aumentano ulteriormente la distopia insita nel lavoro, assieme ai giri ipnotici di chitarra, alle percussioni e all’elettronica. Crazy to the Bone, Land’s End Sanctuary e Paper Cuts, Light Green sono invece tenere e bellissime ballate perfette per il giorno dell’apocalisse. La voce porta avanti una rassegnazione e una malinconia sincere, diventando un sussurro, un lamento nella nebbia del deserto. Decisamente un album spiazzante per chi già conosceva il progetto, ma sicuramente valido, emozionante e allo stesso tempo disturbante. La durata brevissima lo fa sembrare quasi una piccola parentesi, un viaggio in un mondo altro, forse non molto lontano da qui.
Erik Berti - Roar Magazine
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RHAIANULEDADA (SONGS TO SISSY)
Rhaianuledada (Songs To Sissy), brims with a brooding intensity, referencing the best British folk ballads of the past.
www.lostateminor.com (us)
Black Eyed Dog’s second album “Rhaianuledada (Songs To Sissy)”, to be released February 2009, is a major leap forward musically, in a progression that is surprising and unique […] with songs that are as instantly accessible as they are brimming with love and brooding intensity. Black Eyed Dog subtly infuses his music with flavors and colors, evoking the numerous feelings that love brings. bolachasgratis.baywords.com (us)
Just so much of wonderful that you are able to stand it.
Black Eyed Dog’s second album “Rhaianuledada (Songs To Sissy)”, to be released February 2009, is a major leap forward musically, in a progression that is surprising and unique […] with songs that are as instantly accessible as they are brimming with love and brooding intensity. Black Eyed Dog subtly infuses his music with flavors and colors, evoking the numerous feelings that love brings. bolachasgratis.baywords.com (us)
Just so much of wonderful that you are able to stand it.
www.monochrom.at (austria)
These 11 songs pierce through the soul of the listener like little arrows.From the Country-Swing of Honeysuckle Gal to more laid back episodes like All For You.In the Sea where a Piano and a Voice swim deeply through a current made even more evocative by an Accordion or a Clarinet.A great effort made by the Italian singer-songwriter.
These 11 songs pierce through the soul of the listener like little arrows.From the Country-Swing of Honeysuckle Gal to more laid back episodes like All For You.In the Sea where a Piano and a Voice swim deeply through a current made even more evocative by an Accordion or a Clarinet.A great effort made by the Italian singer-songwriter.
Les Inrockuptibles (france)
Drunk with hurt with love roams Parrinello like in a dreamwalk through his enchanting harmonix beauty, consisting of music between arrest and pretty reverie. Good that is dark voice matches so wonderfully in his own world.
Drunk with hurt with love roams Parrinello like in a dreamwalk through his enchanting harmonix beauty, consisting of music between arrest and pretty reverie. Good that is dark voice matches so wonderfully in his own world.
www.roteraupe.de (germany)
L'alternativa italiana più credibile a certo songwriting folk internazionale?
Arriva da Varese e si chiama Black Eyed Dog, al secolo Fabio Parrinello, trent'anni e tanta esperienza girovaga alle spalle, che dopo l'ottimo esordio di "Love Is A Dog From Hell" uscito due anni fa, affronta (e supera in bello stile) la prova del secondo album con "Rhaianuledada (Songs To Sissy)".
Il songwiting di Fabio, già encomiabile nel precedente lavoro, in questo album cresce e si consolida in un'atmosfera generale più greve e fosca, fumosa di jazz nell'apertura di "Roses", trascinata e sospesa in "Drink Me", incrocio tra Songs:Ohia e il Vedder solista, ma anche romantica alla Damien Rice ("All 4 You"). Se è il piano a essere protagonista guidando quasi tutti i pezzi, sono le pennellate degli strumenti di contorno a dare i tratti decisivi a ogni traccia; il grave clarinetto nella sognante "Salinas", il violino che volteggia in "I Got You In", l'armonica di orizzonti Nebraskiani in "Daly Suicide" o la fisarmonica che culla "All 4 You" e "Roses". In mezzo a tutto ciò, la voce di Fabio mugola sensuale, sussurra malinconica, scende pesante e si alza librandosi, come nella bellissima "Lazy B", dalla sofferenza all'estasi. Le canzoni di "Rhaianuledada (Songs To Sissy)", pur mantenendo un colore di tema omogeneo, hanno ciascuna tratti che la distinguono dalle altre, e l'album possiede un respiro internazionale in cui, nonostante le ispirazioni (a volte chiare, come il blues laneganiano di "Honeysuckle Gal"), si percepisce chiaramente la genuinità di spirito e cuore con la quale è stato concepito. "Rhaianuledada (Songs To Sissy)" è la conferma del talento di Fabio Parrinello/Black Eyed Dog, la risposta a chi dubita che anche in Italia si possa fare un songwriting folk di livello, senza la paura di confrontarsi con nomi stranieri di un certo calibro ma scrivendo con sapienza, intelligenza e sentimento.
L'alternativa italiana più credibile a certo songwriting folk internazionale?
Arriva da Varese e si chiama Black Eyed Dog, al secolo Fabio Parrinello, trent'anni e tanta esperienza girovaga alle spalle, che dopo l'ottimo esordio di "Love Is A Dog From Hell" uscito due anni fa, affronta (e supera in bello stile) la prova del secondo album con "Rhaianuledada (Songs To Sissy)".
Il songwiting di Fabio, già encomiabile nel precedente lavoro, in questo album cresce e si consolida in un'atmosfera generale più greve e fosca, fumosa di jazz nell'apertura di "Roses", trascinata e sospesa in "Drink Me", incrocio tra Songs:Ohia e il Vedder solista, ma anche romantica alla Damien Rice ("All 4 You"). Se è il piano a essere protagonista guidando quasi tutti i pezzi, sono le pennellate degli strumenti di contorno a dare i tratti decisivi a ogni traccia; il grave clarinetto nella sognante "Salinas", il violino che volteggia in "I Got You In", l'armonica di orizzonti Nebraskiani in "Daly Suicide" o la fisarmonica che culla "All 4 You" e "Roses". In mezzo a tutto ciò, la voce di Fabio mugola sensuale, sussurra malinconica, scende pesante e si alza librandosi, come nella bellissima "Lazy B", dalla sofferenza all'estasi. Le canzoni di "Rhaianuledada (Songs To Sissy)", pur mantenendo un colore di tema omogeneo, hanno ciascuna tratti che la distinguono dalle altre, e l'album possiede un respiro internazionale in cui, nonostante le ispirazioni (a volte chiare, come il blues laneganiano di "Honeysuckle Gal"), si percepisce chiaramente la genuinità di spirito e cuore con la quale è stato concepito. "Rhaianuledada (Songs To Sissy)" è la conferma del talento di Fabio Parrinello/Black Eyed Dog, la risposta a chi dubita che anche in Italia si possa fare un songwriting folk di livello, senza la paura di confrontarsi con nomi stranieri di un certo calibro ma scrivendo con sapienza, intelligenza e sentimento.
Gianni Candellari - Onda Rock
Ahi, Varese, vituperio delle genti... Mi perdonerà il Poeta per aver trasformato uno dei suoi endecasillabi più biliosi in uno scialbo dodecasillabo, certo è che quel paesone mal cresciuto a due passi dalla Svizzera è un bel caso di schizofrenia. Città "bauscia" per vocazione, ma anche roccaforte di una sensibilità musicale barricadera e di un amore mai sopito per i magnifici perdenti del rock e del folk. Dai tempi di Radio Varese - "l'unica radio libera dell'occidente occupato" - che educò i gusti di una generazione, passando per il lavoro infaticabile di editori roots gallaratesi e organizzatori di festival dedicati agli hobos, Varese è stata negli anni la provincia con più fuoristrada immatricolati (e il posto in cui una testa di cazzo può sempre farsi una... lega) e contemporaneamente il luogo in cui passare una serata in riva al lago ad ascoltare Townes Van Zandt duettare con Joe Ely. Questo per introdurvi all'opera di Fabio Parrinello, aka Black Eyed Dog, che proprio in mezzo alla teoria di fabbrichette che assediano la città è cresciuto e ha sviluppato, chissà come, un amore per il folk umbratile di Nick Drake (ma questo l'avevate già intuito, se avete capito da dove arriva la sigla che si è scelto), per le romanticherie fumose di Tom Waits e per le oblique ballate di folksinger contemporanei come Bil Callahan e Devendra Banhardt. Una dieta che certo non ha fatto maturare la musica di Fabio nel lato più solare del folk (anche se adesso si è trasferito - chiamalo stupido - in Sicilia). Aspettatevi quindi una sovraesposizione di sensibilità sofferta, in punta di polpastrelli (piano e chitarra acustica, a seconda delle occasioni), una voce modulata in chiaroscuro, un'ugola incatramata che soffia versi in un inglese credibile (si sente che il ragazzo ha girato parecchio, per scrollarsi il provincialismo dalle corde vocali), con un gusto sobrio ma attento ai particolari negli arrangiamenti: un clarinetto qua, un violino là, qualche rumore indecifrabile - cos'è, il ronzio di un proiettore quello che sentiamo in All 4 You? Con meticolosità da artigiano plasma, con l'aiuto del polistrumentista Fabio Genco, le 11 canzoni di questo secondo lavoro (l'esordio è del 2007), donando a ciascuna una sua personalità e mantenendo nel contempo coerenza stilistica e sensibilità unitaria all'insieme. Oltre ai nomi già fatti, possiamo impegnarci a riconoscere l'influenza anche del Robyn Hitchcok che sognava (spesso) di treni o, in alcuni brani immersi in una malinconia da "vecchia Europa" (Roses, I Got You In), presumere che Fabio abbia ascoltato con attenzione l'interessante disco dei Songdog dello scorso anno. Ma ci fermiamo qui, per non dare l'idea di una personalità derivativa, quando invece siamo di fronte a un autore dalla forza lirica e musicale matura e definita. Ci limitiamo a segnalare una personale preferenza per il blues psicotico di Honeysuckle Gal, e per il finale con armonica al collo di Angel Eyes. Cercatelo, prima che la primavera sciolga queste ballate d'amore sgorgate da un cuore in autunno.
Ahi, Varese, vituperio delle genti... Mi perdonerà il Poeta per aver trasformato uno dei suoi endecasillabi più biliosi in uno scialbo dodecasillabo, certo è che quel paesone mal cresciuto a due passi dalla Svizzera è un bel caso di schizofrenia. Città "bauscia" per vocazione, ma anche roccaforte di una sensibilità musicale barricadera e di un amore mai sopito per i magnifici perdenti del rock e del folk. Dai tempi di Radio Varese - "l'unica radio libera dell'occidente occupato" - che educò i gusti di una generazione, passando per il lavoro infaticabile di editori roots gallaratesi e organizzatori di festival dedicati agli hobos, Varese è stata negli anni la provincia con più fuoristrada immatricolati (e il posto in cui una testa di cazzo può sempre farsi una... lega) e contemporaneamente il luogo in cui passare una serata in riva al lago ad ascoltare Townes Van Zandt duettare con Joe Ely. Questo per introdurvi all'opera di Fabio Parrinello, aka Black Eyed Dog, che proprio in mezzo alla teoria di fabbrichette che assediano la città è cresciuto e ha sviluppato, chissà come, un amore per il folk umbratile di Nick Drake (ma questo l'avevate già intuito, se avete capito da dove arriva la sigla che si è scelto), per le romanticherie fumose di Tom Waits e per le oblique ballate di folksinger contemporanei come Bil Callahan e Devendra Banhardt. Una dieta che certo non ha fatto maturare la musica di Fabio nel lato più solare del folk (anche se adesso si è trasferito - chiamalo stupido - in Sicilia). Aspettatevi quindi una sovraesposizione di sensibilità sofferta, in punta di polpastrelli (piano e chitarra acustica, a seconda delle occasioni), una voce modulata in chiaroscuro, un'ugola incatramata che soffia versi in un inglese credibile (si sente che il ragazzo ha girato parecchio, per scrollarsi il provincialismo dalle corde vocali), con un gusto sobrio ma attento ai particolari negli arrangiamenti: un clarinetto qua, un violino là, qualche rumore indecifrabile - cos'è, il ronzio di un proiettore quello che sentiamo in All 4 You? Con meticolosità da artigiano plasma, con l'aiuto del polistrumentista Fabio Genco, le 11 canzoni di questo secondo lavoro (l'esordio è del 2007), donando a ciascuna una sua personalità e mantenendo nel contempo coerenza stilistica e sensibilità unitaria all'insieme. Oltre ai nomi già fatti, possiamo impegnarci a riconoscere l'influenza anche del Robyn Hitchcok che sognava (spesso) di treni o, in alcuni brani immersi in una malinconia da "vecchia Europa" (Roses, I Got You In), presumere che Fabio abbia ascoltato con attenzione l'interessante disco dei Songdog dello scorso anno. Ma ci fermiamo qui, per non dare l'idea di una personalità derivativa, quando invece siamo di fronte a un autore dalla forza lirica e musicale matura e definita. Ci limitiamo a segnalare una personale preferenza per il blues psicotico di Honeysuckle Gal, e per il finale con armonica al collo di Angel Eyes. Cercatelo, prima che la primavera sciolga queste ballate d'amore sgorgate da un cuore in autunno.
Yuri Susanna - Rootshighway.it
Nemmeno due anni dopo l'esordio con Love Is A Dog From Hell, che lo aveva sorprendemente segnalato come autentica rivelazione, Fabio "Black Eyed Dog" Parrinello concede il bis con un album ancor più inspirato, intenso e ricco di sfumature, figlio di un approccio cantautorale anglo-americano - con i migliori insegnamenti delle due "scuole" avvinti in un tenero ma saldo abbraccio - che prevede trame morbide ma anche a loro modo sofferte e atmosfere non certo solari ma neppure opprimenti, il tutto sviluppato in un songwriting dalla grande forza suggestiva ed emotiva. Un gioco di contrasti non stridenti, ma anzi complementari, qui esaltato da undici episodi assieme fragili e solenni, basati ora sulla chitarra e ora sul piano e intonati con una voce profonda e malinconica, per un folk intimista che non si ferma in supeficie, ma scava, con prepotente delicatezza, fra le pieghe dell'anima; e un disco di caratura superiore, non solo per il panorama internazionale, che mostra tante (nobili) influenze, senza dichiararne espressamente alcuna. La speranza è che Black Eyed Dog trovi il coraggio di affrancarsi dal nostro piccolo ghetto indie e confrontarsi con i suoi maestri a casa loro, con ottime possibilità di sostenere la sfida.
Federico Guglielmi - Il Mucchio
Se la musica è un bene di rifugio, le canzoni di Fabio Parrinello in arte Black Eyed Dog sono una malga incontaminata a sufficiente distanza dal turismo. In “Rhaianuledada”, affrescato dalla richiestissima matita di Roberto Amoroso, tutto è al suo posto, tutto funziona come dovrebbe essere: concorre in primis una gola che non si potrebbe immaginare più consona, il rituale clima che conosce deviazioni in misura più attenuata rispetto all’esordio -giusto uno scherzo Waits, Honeysuckle Gal- l’attitude di chi sa cosa chiedere a se stesso fuori dalle scontate emulazioni atte a facilitare il pubblico. Ottenendo puntualmente: la doppietta iniziale è di quelle che schiantano la resistenza di un (e)mulo, con Roses infarcita di piano smooth e accordéon a perorare la causa del crooner, e le ispirate note di Salinas, il cui ritornello è uno dei più commoventi ascoltati da tempo in lande italiche. Proseguono l’opera Bullet proof, scarna e pianistica, registrata su doppia voce; il violino entro Drink me, gli “strumenti inconsistenti” di caposseliana memoria che esaltano la nuda voce di BED in I got you in e The way to my heart, verso un orizzonte che si chiama Daly suicide, portata con fare da hobo e la densa, suggestiva Lazy.B dall’iniziale reminiscenza tierseniana, con Fabio a sostituirsi egregiamente ad un ipotetico Dominique A tenendo con costanza il cuore aperto in mano. Anche se solo per il calendario, e dando retta all’anagrafe, “Songs to Sissy” è la prima aristocrazia tricolore del 2009.
Enrico Veronese - Blow Up
Chi ha goduto anni fa delle solitarie ballate da cuore infranto di Fabio Parrinello non resterà deluso, anche se oggi il cuore in questione scoppia di gioia. Fortunatamente l'amore "ritrovato" dal cantautore girovago non ha intaccato una scrittura brumosa, dolente, illuminata da piano e fisarmonica (il grido spezzato di Roses) o carezzata da un'acustica (l'omaggio a Damien Rice in Salinas). I paragoni spesi allora (Drake su tutti) valgono ancora, ma è un Tom Waits privato dell'aplomb luciferino che brilla come faro all'orizzonte (Angel Eyes, I Got You In). Arrangiamenti più curati, un timbro roco che trasuda tormento e un'ispirazione malinconica in punta di penna fanno di Rhaianuledada una promessa mantenuta.
Nemmeno due anni dopo l'esordio con Love Is A Dog From Hell, che lo aveva sorprendemente segnalato come autentica rivelazione, Fabio "Black Eyed Dog" Parrinello concede il bis con un album ancor più inspirato, intenso e ricco di sfumature, figlio di un approccio cantautorale anglo-americano - con i migliori insegnamenti delle due "scuole" avvinti in un tenero ma saldo abbraccio - che prevede trame morbide ma anche a loro modo sofferte e atmosfere non certo solari ma neppure opprimenti, il tutto sviluppato in un songwriting dalla grande forza suggestiva ed emotiva. Un gioco di contrasti non stridenti, ma anzi complementari, qui esaltato da undici episodi assieme fragili e solenni, basati ora sulla chitarra e ora sul piano e intonati con una voce profonda e malinconica, per un folk intimista che non si ferma in supeficie, ma scava, con prepotente delicatezza, fra le pieghe dell'anima; e un disco di caratura superiore, non solo per il panorama internazionale, che mostra tante (nobili) influenze, senza dichiararne espressamente alcuna. La speranza è che Black Eyed Dog trovi il coraggio di affrancarsi dal nostro piccolo ghetto indie e confrontarsi con i suoi maestri a casa loro, con ottime possibilità di sostenere la sfida.
Federico Guglielmi - Il Mucchio
Se la musica è un bene di rifugio, le canzoni di Fabio Parrinello in arte Black Eyed Dog sono una malga incontaminata a sufficiente distanza dal turismo. In “Rhaianuledada”, affrescato dalla richiestissima matita di Roberto Amoroso, tutto è al suo posto, tutto funziona come dovrebbe essere: concorre in primis una gola che non si potrebbe immaginare più consona, il rituale clima che conosce deviazioni in misura più attenuata rispetto all’esordio -giusto uno scherzo Waits, Honeysuckle Gal- l’attitude di chi sa cosa chiedere a se stesso fuori dalle scontate emulazioni atte a facilitare il pubblico. Ottenendo puntualmente: la doppietta iniziale è di quelle che schiantano la resistenza di un (e)mulo, con Roses infarcita di piano smooth e accordéon a perorare la causa del crooner, e le ispirate note di Salinas, il cui ritornello è uno dei più commoventi ascoltati da tempo in lande italiche. Proseguono l’opera Bullet proof, scarna e pianistica, registrata su doppia voce; il violino entro Drink me, gli “strumenti inconsistenti” di caposseliana memoria che esaltano la nuda voce di BED in I got you in e The way to my heart, verso un orizzonte che si chiama Daly suicide, portata con fare da hobo e la densa, suggestiva Lazy.B dall’iniziale reminiscenza tierseniana, con Fabio a sostituirsi egregiamente ad un ipotetico Dominique A tenendo con costanza il cuore aperto in mano. Anche se solo per il calendario, e dando retta all’anagrafe, “Songs to Sissy” è la prima aristocrazia tricolore del 2009.
Enrico Veronese - Blow Up
Chi ha goduto anni fa delle solitarie ballate da cuore infranto di Fabio Parrinello non resterà deluso, anche se oggi il cuore in questione scoppia di gioia. Fortunatamente l'amore "ritrovato" dal cantautore girovago non ha intaccato una scrittura brumosa, dolente, illuminata da piano e fisarmonica (il grido spezzato di Roses) o carezzata da un'acustica (l'omaggio a Damien Rice in Salinas). I paragoni spesi allora (Drake su tutti) valgono ancora, ma è un Tom Waits privato dell'aplomb luciferino che brilla come faro all'orizzonte (Angel Eyes, I Got You In). Arrangiamenti più curati, un timbro roco che trasuda tormento e un'ispirazione malinconica in punta di penna fanno di Rhaianuledada una promessa mantenuta.
Barbara Tomasino - Rumore
Il palermitano Fabio Parrinello lascia entrare un filo di luce nella sua stanza buia, muovendo un deciso passo avanti in direzione di una scrittura più forbita e con qualche variazione di colore. L'umore resta introspettivo, ma l'energia dei sentimenti positivi si riflette sul registro vocale, che parte dai vecchi locali fumosi di Tom Waits, getta uno sguardo sui posaceneri di Mark Lanegan e si ferma infine nell'accortezza di Conor Oberst. Un plauso agli arrangiamenti che, nella loro sobrietà, accompagnano l'album fuori dal rischio di apparire monocorde. Lo straniante blues di "Honeysucle Gal" e la curiosa "Drink Me" valgono da sole il prezzo della corsa.
Pier Angelo Cantù - Jam
Il nome viene da un pezzo di Nick Drake, il che fa già intuire l'atmosfera intimista e notturna del progetto del varesino Fabio Parrinello. Ma c'è anche molta America, tra folk e blues, in queste ballate scarne e toccanti, giocate fra pianoforte, chitarre acustiche e una voce profonda. I testi? La storia sampiterna di un nuovo amore.
Diego Perugini - L'Unità
Si scriveva, all'epoca dell'esordio con "Love Is A Dog From Hell", di un amore per il Tom Waits meno fumoso (a dispetto della stima devendriana). Bella roba, quindi, a cui tuttavia si accompagnava il rischio/pericolo di nascondere le evidenti qualità personali. E non sarebbe stato bello. Per un semplice discorso di meritocrazia. Il primo bravo a Fabio Parrinello, allora, va proprio per questa risposta a dubbi legittimi. E' waitsiana (e pure piacevolissima) la macilenta "Honeysuckle Gal", ma gli omaggi finiscono qui. Il resto è abbondanza di personalità autorale, consapevole e concreta, fra rarefazioni malinconiche di piano e intimismo (le splendide "Salinas" e "Daly Suicide", con qualche retrogusto, in quest'ultima, degli amici Saeta), sfruttando clarinetto e violino per svezzare definitivamente la sostanza delle canzoni. A scena aperta e senza nessun poster alle spalle. Una conferma auspicata.
Marco Delsoldato - Kronic
Composizioni per Sissy. Dieci composizioni per aprire le porte dell’altrui percezione a un mondo poetico crepitante, abissale, annebiato, interiorizzato a tal punto che l’estrazione stessa delle emozioni si muta in prodigio. Dieci affondi nel buio pesto del percepire. Fabio Parrinello, aka Black Eyed Dog ritorna in scena con questo nuovo disco, senza variare il tema amoroso che l’aveva reso noto ai più la similitudine con Drake, per ululati e fingerpicking sentimentali. Che il ragazzo canti con autenticità, lo si percepisce dall’odore dolciastro da Roses (prima traccia), fiori ricolmi di spine vocali… destinati ad appassire nel giardinetto incurato di Waits, lo stesso sentore ti si cala nuovamente sulla pelle con il banjo marcificato di “Honeysuckle Gal”, punteggiata da un clarinetto sublimante. Alla prova del fuoco “Bullet Proof”, l’autore risponde sdoppiando la propria natura e mettendo a nudo le colonne d’ercole che reggono tutto l’impianto-disco. Da un lato il peccatore viscido che innesta nell’ascolto l’incubo tormentato “ Join the parade/ Let’s march this way/ All the way down to the field of Joy…Angels of Death/Sister Suicide/ Get off my case/ I ‘m fine this way”, ma quando il mondo si muta in un pozzo scuro senza uscita, ecco che l’autore cala una fune di salvezza “Here’s a remedy, I know a remedy…(etc etc)”. Black Eyed Dog, sceglie di muoversi sul palco di una Burlesque fuori dal tempo, in cui piazza sé stesso come protagonista assoluto in balia delle proprie pulsioni amorose, senza remore, senza ritegno, fronteggia nudo la massa critica. Innesta incubi e rivela oniriche soluzioni… si morde la coda.
Tommaso Vecchio - indie-zone
L’esplicito rimando a Nick Drake nel moniker Black Eyed Dog, dietro il quale si cela il varesotto Fabio Parriniello, mi suscitava un misto di curiosità e timore. Troppa poca voglia di trovarmi di fronte ad un emulo nostrano del cantautore di Tanworth-in-Arden, per il quale il sottoscritto serberà per sempre enorme ammirazione-devozione. La voglia di capirci qualcosa in più ha preso il sopravvento, così mi sono messo all’ascolto di Rhaianuledada (Songs To Sissy) carico di tutti i pregiudizi di sorta. Già dalle prime note ho capito di essere al cospetto di qualcosa di diverso, meno fragile e più oscuro, con un accento ubriaco alla Tom Waits, ma affogato in mezzo litro di acqua minerale. Col progredire della scaletta, le sfumature cambiano e ci si trova al cospetto di un cantautore sulla scia del David Gray più intimista, che talvolta predilige le corde di una chitarra e altre si abbandona ai tasti del pianoforte. Infine, sul finire del disco, sembra di incrociare lo Springsteen di Nebraska, anche se soltanto in alcuni momenti, soprattutto nell’utilizzo delll’armonica a bocca, malinconica e rassegnata. Alla fine del giro un bel disco, leggermente cangiante, sempre equilibrato e col dono della sintesi: undici brani per 34’ di cantautorato acustico e notturno, sono la dose perfetta per non annoiarsi e tenere sempre la tensione alla giusta intensità emotiva.
Enrico Amendola - Vitaminic
Un giorno da cani stringe alle caviglie l’ultimo uomo vivo della Terra. Un cielo da tempesta gonfia le guance e soffia la sua ira gelata. Una strada umida si perde nell’oscurità. Chino in un bar, il vivo, butta giù il quinto bourbon di fila. Il vivo si fa chiamare Black Eyed Dog, malinconia nel cuore e Nick Drake nella testa. Una vita vissuta all’insegna di un’educazione all’inverso: Fabio Parrinello - questo il suo vero nome - nasce nel Nord Italia, Varese per la precisione, e percorre lo Stivale in senso opposto al normale flusso migratorio, tant’è vero che decide di accasarsi in quel di Palermo.
In mezzo a tutto questo c’è anche un lungo peregrinare tra America ed Inghilterra, due band ed un altro album pubblicato un paio d’anni fa. Ora il ritorno, ma con propositi radicalmente diversi.
Rinascita ed oscurità, due facce della stessa medaglia, la parte presentabile e quella da tenere a bada in pubblico. Una voce vibrante, rasposa, declinata in varie sfumature, così un attimo prima la mente corre a pescare tra betulle innevate il fantasma di un imberbe Springsteen - si naviga dalle parti di “Nebraska”-, e subito dopo si tossisce tra le spire fumose di Mark Lanegan. Ma sono soli echi che si perdono tra le note nette e sussurrate di canzoni bastarde, che declamano l’amore o quel miscuglio di esaltazione e di sconfitta che s’accompagna all’oscillare dei suoi vagheggiamenti. Ballate intime e di spessore dondolano tra pianoforti e chitarre acustiche, armoniche e violini, clarinetti in sordina e cicche di sigarette masticate nervosamente.
Rimandi a certo folk americano, imbevuto di sogni spezzati e fughe cominciate e mai finite, s’insinuano nella voce di Parrinello, menestrello capace di pescare più di una melodia tenebrosa. Eddie Vedder apprezzerebbe sicuramente “Angel Eyes”, mentre noi, molto più umilmente, ci perdiamo nella splendida “All 4 You”, prima di rimanere colpiti dall’aria rarefatta che si respira in “I Got In You”. Blues scarnificati e drogati agitano il sistema circolatorio, una sensazione rincuorante di sconfitta s’incastra tra i denti, un sapore dolciastro di sangue si prende cura di chi s’abbandona a questa manciata di canzoni sincere. “Rhaianuledada (Songs To Sissy)” è un album scolpito nel legno, bagnato nella vodka, asciugato dal vento glaciale della tajga siberiana. Un giro tra questi solchi è vivamente consigliato.
Giuseppe Ferraro - Indie for Bunnies
Dietro al nome Black Eyed Dog (titolo di un brano di Nick Drake) si cela Fabio Parrinello, cantautore varesotto del 1979. Dopo un album che ha riscosso ottimi consensi nel mondo indie italiano (“Love is a dog from hell”, 2007), il musicista torna con “Rhaianuledada (songs to Sissy)”. In questo secondo capitolo Black Eyed Dog spazia maggiormente tra folk, cantautorato e strumenti come pianoforte, clarinetto e violino: tra Tom Waits, Nick Drake e Devendra Banhart.
Rockol
L’amore che era un cane dall’inferno diventa uno scoiattolo svegliato dalle prime luci dell’inverno in disgelo. C’è un forte senso di rinascita nel secondo disco di Fabio Parrinello alias Black Eyed Dog a due anni dal precedente “Love is a dog from hell”. Un ricominciare (di nuovo) all’insegna di quell’amore che un tempo lo aveva morso fino allo sfinimento e che oggi diventa legna da ardere, tepore rasserenante, per undici canzoni sì chiaroscurali, ma di quando è il buio a lasciare finalmente il posto alla luce e non il contrario. Il folk americano in zona Will Oldham e Devendra Banhart, principale fonte d’ispirazione dell’ottimo esordio, lascia spazio ad episodi maggiormente pop, che tuttavia non vengono mai meno a quell’essenzialità e a quella malinconia di fondo marchio di fabbrica di una scrittura ad alto tasso emozionale che fa un passo, proprio uno solo, ma in avanti. Dunque eccoli questi undici Rhaianuledada – ti amo nella lingua inventata da Fabio e dalla sua Sissy, a cui il tutto è dedicato – cantati dalla sua voce odorante fumo e legno. La magnifica apertura di Roses che smaschera definitivamente sospettate doti da crooner folk e riprende con esiti meno didascalici che in passato quella vena europeista (vedi fisarmonica "alla parigina") cara a tanti cantori neofolk d’oltreoceano. Il bozzetto Oldham con ruota di bicicletta (?) su acustica ad aggiungere dolcezza a dolcezza di All 4 you. La dichiarazione d’amore da mulo innamorato di Honeysuckle Gal che richiama Banhart e Waits in uno stupendo miscuglio di testardaggine equina, mandolini scalcagnati e clarini da circo alcolico. Una Angel Eyes che alla parentela con Nick Drake aggiunge l’intimismo dell’Eddie Vedder di “Into The Wild”. Infine, e soprattutto, le tante pop-ballad al pianoforte (Salinas, Bullet Proof, Drink Me, I got you in, The way to my heart, Daly Suicide, Lazy B.,) che con pochi accordi evocativi e qualche ricamo di archi, elettronica, armonica e chitarre ci piegano piano piano le ginocchia, lasciandoci alla fine a terra, stupiti e in subbuglio, di fronte all’opera di una persona che grazie all’amore è semplicemente tornata alla vita.
Luca Barachetti - L'isola che non c'era
Spesso e prezioso. Lirico e intenso. Visionario, nella maniera più concreta che conoscete. Lo aspettavamo, Black Eyed Dog, da quando ci aveva incantato con il precedente "Love is a dog from hell", da quando ci aveva davvero fatto toccare l'inferno con mano. Ora ci porta dritti in paradiso, e lo fa con quella grazia che hanno ormai in pochi. Queste, signori, sono canzoni d'amore: anche le precedenti lo erano, ma stavolta c'è uno slancio particolare verso il bello. Uno slancio con pochi fili appesi dietro, che non nascono da mille situazioni pregresse e troppo complicate. C'è ben poco da sistemare, dietro: c'è solo da guardare avanti. Un esempio su tutti, "I got you in". Ricordo bene la prima volta che ti ho visto, e allora I got you in, marry me: in tre minuti e undici secondi all the beautiful girls - and boys - can all go to hell. Senza indecisioni, senza dietrologie: Black Eyed Dog mette a nudo tutto, emozioni pensieri decisioni e anima. Sa che verrà paragonato a Tom Waits, al "suo" Nick Drake, a tanti altri dei cantautori più introspettivi, viscerali, folk: lo sa e non lo nasconde. Sa anche che qualcuno troverà qua e là pezzi di Seattle. Ma gioca a carte scoperte, con l'onestà di chi, comunque vada, porta a casa qualcosa che sente suo fino all'ultima nota. E allora questo è un disco spesso, dicevamo, perché può permettersi di sporcare la voce fin dove vuole, senza che ci siano spigoli. Visionario, perché anche solo un pezzo come "Honeysuckle Gal" non può non farci visualizzare uno strano personaggio al piano, inquietante e ossessivo, ma che non fa più paura. Poi torna lirico, certo: si sente la brezza del mare, ci si immaginano orme lasciate sulla sabbia; si cantano gli occhi di un angelo e arriva l'armonica. Un disco morbido, che si muove da solo in maniera organica, srotolando emozioni da ogni lato lo si guardi, e ascolti. Andrebbero sperimentati tutti, questi lati. Perché di ascolti, queste canzoni per Sissy, ne meritano davvero tanti.
Sara Scheggia - Rockit
La forza che deriva dall’innamorarsi ed essere ricambiati è tremenda. Ok, non siete finiti nel posto sbagliato e non si parla di vecchie hit di Paolo Vallesi. È solo che lo spunto per ogni singola nota o verso del nuovo lavoro di Fabio Parrinello aka Black Eyed Dog è totalmente dovuto a ciò che accade quando una relazione inizia, al contrario del precedente Love Is A Dog From Hell, che riguardava la fine amara e misera dell’amore. Disco che incontrò parecchi consensi, grazie alla splendida voce di Fabio e alla capacità di scrivere canzoni con piglio personale, rappresentando la migliore tradizione di eroi dell’indie rock folk americano, quali Conor Oberst, Bill Callahan e Will Oldham. Il nume tutelare è ancora Nick Drake, ma in questo Rhaianuledada Fabio riesce ad affrancarsi maggiormente da lui e dai “miti” citati poco su, riuscendo nel contempo a non risultare per niente smielato o sdolcinato. Pericolo non da poco, dato l’argomento trattato. “Roses” dà il via al tributo con un’atmosfera jazzy/blues da locanda parigina di fine secolo, con tanto di Fabio in veste di crooner e assolo di fisarmonica. “Salinas” è la prima torch song di gran valore che si incontra, impreziosita da lievi incursioni di clarinetto, “All 4 You” a dispetto del titolo da hip hop da quattro soldi, è un riuscito incontro tra i mood sonori di Tim Buckley e Drake, “Honeysuckle Gal” è ciò che oggi si può definire weird folk, con ancora il clarinetto a stemperare l’aria malsana che vi si respira.“Bullet Proof” è la seconda torch song ancor più intensa e da pelle d’oca di “Salinas”, la drammatica e carnale “Drink Me” conduce ai delicati intrecci acustici piano/chitarra di “I Got You In”, “The Way To My Heart” segna un ulteriore punto per la capacità di Fabio di mettere insieme canzoni principalmente solo piano e voce all’altezza dell’Antony più ispirato. Fortunatamente “Daly Suicide”, la mesta “Lazy.B” e la classica Drake tune “Angel Eyes” mantengono alta la qualità compositiva, rendendo il secondo disco di mr. Black Eyed Dog una delle migliori uscite italiane di inizio 2009.
Giampaolo Cristofaro - Audiodrome
Fabio Parrinello, alias Black Eyed Dog, ci riprova, e anche questa volta ottiene ottimi risultati. A quasi due anni di distanza dal promettente esordio “Love is a dog from hell”, l’artista varesino, di stanza a Palermo, dà alle stampe il suo secondo lavoro, continuando a celarsi dietro il nickname preso in prestito da un brano di Nick Drake. La differenza principale tra i due dischi, sta proprio nella graduale emancipazione che Parrinello sta maturando rispetto allo stesso Drake, dimostrando una maturità non comune a tanti suoi colleghi coetanei. I suoi orizzonti si sono allargati e il suo stile si è affinato, incentrato su ballate introspettive, più o meno con matrice blues, ma non più malinconiche, dato che se l’esordio scaturiva da una cocente delusione amorosa, questo lavoro, al contrario, è l’espressione di un innamoramento. Tuttavia, resta immutato il suo stile minimale con i brani strutturati su pochissimi strumenti, quasi tutti con chitarra e/o piano, talvolta impreziositi da un clarinetto (Salinas e Honeysuckle Gal) o da un violino (Drink me). Gli ambienti che il Nostro riesce a ricreare sono gli stessi di Smog, Bright Eyes, Bartòk, Nick Cave (Roses), Black Heart Procession e Leonard Coen (Angel eyes).
Vittorio Lannutti - La Scena
Non nascondo di provare una certa curiosità per Fabio Parrinello, cosmopolita o apolide non saprei bene (nato a Varese, cresciuto tra Londra e Los Angeles, attualmente domiciliato a Palermo), uno che si nasconde dietro ad un moniker sfacciatamente drakeiano salvo poi disimpegnarsi più che altro in direzione Tim Buckley, uno che dopo i consensi ricevuti dall'esordio Love Is A Dog From Hell (Ghost Records / Audioglobe, aprile 2007) si è mediaticamente eclissato, magari per covare con le dovute attenzioni il qui presente successore Rhaianuledada. Nel quale vengono perlopiù abbandonati i buckleismi vagamente freak dell'esordio in favore d'un cantautorato intimista, cupo e appassionato, sorta di versione schiva di un GoodMorningBoy oppure un Josh Ritter problematico. Da un certo punto di vista si tratta di un'implosione, un rifugio morbidamente claustrofobico, però non fai in tempo a sentirti soffocare che le melodie e l'essenziale lirismo degli arrangiamenti tracciano feritoie da cui soffiano refoli romantici e tutto sommato consolatori. Capita nel passo frugale di All 4 You, dove la fisarmonica è una carezza frugale, oppure tra le brume tenere di I Got You In con la tiepida benedizione del violino, e ancora nel soffice guaire dell'armonica nella dolciastra Daly Suicide, nella lunare The Way To My Heart con quei cori da Will Oldham cherubino, per non dire di quella Salinas che tra pianoforte e clarinetto sbriglia un piglio da Lanegan ingentilito e controcanto efebico quasi Rufus Wainwright. Il tessuto s'increspa complicandosi in Honeysuckle Gal (delirio piratesco da Devendra Banhart waitsiano), concedendosi fregole jazzy nell'iniziale Roses (con un piano quasi Paolo Conte) e masticando certe ugge inafferrabili vagamente Peter Hammill nella notevole Drink Me (le elettroniche a perturbare la trama di chitarre, piano e percussioni). Alla fine resti appeso ad un senso di sedazione emotiva che appiana ogni escursione, allestendo un giaciglio forse un po' monotono e schivo ma ugualmente - e stranamente - affettuoso. Non parlerei di una crescita, ma di un riposizionamento poetico che conferma Black Eyed Dog tra le più interessanti realtà indie nostrane.
Stefano Solventi - SentireAscoltare
Scese le scale della taverna e tutti lo notarono. Alto fino al soffitto, dallo sguardo straniero, con un cappellaccio in testa e una donna fascinosa al fianco. Aspettò pazientemente il suo turno, prese la chitarra e strimpellò 2.45 AM. Ne uscì una voce così propria, un respiro tanto intenso da bloccare sul nascere qualsiasi volatile distrazione. Terminata la quale, si appartò a bere un sorso di liquore di campagna, prese sottobraccio la sua ragione di vita e si dileguò nella notte, lasciando sul palco un alone. Non si creda che la vicenda sia romanzata: accadde a Udine una notte di novembre, anno 2007. Ma sarebbe anche potuta non accadere mai, o ripetersi sempre: la cifra stilistica che reca con sé Black Eyed Dog è tale da non venire dimenticata da chi ci si imbatte. Se l’esordio “Love is a dog from hell” ne rivelò le abbondanti doti compositive e da interprete, offrendo all’uditorio due manciate di canzoni perfette, vecchio stile, con qualche variazione sul tema, l’imminente “Rhianuledada” -esce il 22 gennaio sempre per Ghost- ne fortifica la personalità in senso univoco: se prima le reminiscenze dei brani erano palesi e riconoscibili, oggi Fabio Parrinello da Palermo è un autore a tutto tondo, immediatamente rapportabile alle liriche e ai suoni che scrive. Istoriata nella cover da Roberto Amoroso, la raccolta di tracce apre con una doppietta da knock out, pugno di ferro in guanto di velluto: alla nostalgica Roses, tutta accordéon e pianoforte smooth, succede Salinas, vertice del disco in virtù del ritornello strappacuore (”and I’ll drink the bar dry just to fill up the void, the void that you left when you went away / and ten thousand miles on the back of a car, a knife, a gun and some roses I got for you”). Appare qua e là l’ombra degli “strumenti inconsistenti” su cui si regge l’ultimo Capossela: I got you e The way to my heart si reggono principalmente sulla gola del crooner, mentre Drink me gode del violino e Bullet proof sdoppia la voce sopra lo scarno incedere del pianoforte. C’è spazio per un solo divertissement, la waitsiana Honeysuckle Gal, in un quadro dominato dalla continuità, che vede in Daly suicide l’angolo western e in Lazy.B il mai sopito lato “francese”. Comincio a pensare che il set and setting sia utile ma non indispensabile, sicché se non potete avvalervi di un camino montano e del partner di una vita, queste ballate non suoneranno scomode in qualsiasi altra circostanza, senza pensare anche per un solo momento che un artista nato al sole d’Italia non possa comprendere, “leggere” e restituire il sole d’America… importa solamente che una volta abbia tenuto in mano la penna per scriverlo.
Italianembassy.it
Il palermitano Fabio Parrinello lascia entrare un filo di luce nella sua stanza buia, muovendo un deciso passo avanti in direzione di una scrittura più forbita e con qualche variazione di colore. L'umore resta introspettivo, ma l'energia dei sentimenti positivi si riflette sul registro vocale, che parte dai vecchi locali fumosi di Tom Waits, getta uno sguardo sui posaceneri di Mark Lanegan e si ferma infine nell'accortezza di Conor Oberst. Un plauso agli arrangiamenti che, nella loro sobrietà, accompagnano l'album fuori dal rischio di apparire monocorde. Lo straniante blues di "Honeysucle Gal" e la curiosa "Drink Me" valgono da sole il prezzo della corsa.
Pier Angelo Cantù - Jam
Il nome viene da un pezzo di Nick Drake, il che fa già intuire l'atmosfera intimista e notturna del progetto del varesino Fabio Parrinello. Ma c'è anche molta America, tra folk e blues, in queste ballate scarne e toccanti, giocate fra pianoforte, chitarre acustiche e una voce profonda. I testi? La storia sampiterna di un nuovo amore.
Diego Perugini - L'Unità
Si scriveva, all'epoca dell'esordio con "Love Is A Dog From Hell", di un amore per il Tom Waits meno fumoso (a dispetto della stima devendriana). Bella roba, quindi, a cui tuttavia si accompagnava il rischio/pericolo di nascondere le evidenti qualità personali. E non sarebbe stato bello. Per un semplice discorso di meritocrazia. Il primo bravo a Fabio Parrinello, allora, va proprio per questa risposta a dubbi legittimi. E' waitsiana (e pure piacevolissima) la macilenta "Honeysuckle Gal", ma gli omaggi finiscono qui. Il resto è abbondanza di personalità autorale, consapevole e concreta, fra rarefazioni malinconiche di piano e intimismo (le splendide "Salinas" e "Daly Suicide", con qualche retrogusto, in quest'ultima, degli amici Saeta), sfruttando clarinetto e violino per svezzare definitivamente la sostanza delle canzoni. A scena aperta e senza nessun poster alle spalle. Una conferma auspicata.
Marco Delsoldato - Kronic
Composizioni per Sissy. Dieci composizioni per aprire le porte dell’altrui percezione a un mondo poetico crepitante, abissale, annebiato, interiorizzato a tal punto che l’estrazione stessa delle emozioni si muta in prodigio. Dieci affondi nel buio pesto del percepire. Fabio Parrinello, aka Black Eyed Dog ritorna in scena con questo nuovo disco, senza variare il tema amoroso che l’aveva reso noto ai più la similitudine con Drake, per ululati e fingerpicking sentimentali. Che il ragazzo canti con autenticità, lo si percepisce dall’odore dolciastro da Roses (prima traccia), fiori ricolmi di spine vocali… destinati ad appassire nel giardinetto incurato di Waits, lo stesso sentore ti si cala nuovamente sulla pelle con il banjo marcificato di “Honeysuckle Gal”, punteggiata da un clarinetto sublimante. Alla prova del fuoco “Bullet Proof”, l’autore risponde sdoppiando la propria natura e mettendo a nudo le colonne d’ercole che reggono tutto l’impianto-disco. Da un lato il peccatore viscido che innesta nell’ascolto l’incubo tormentato “ Join the parade/ Let’s march this way/ All the way down to the field of Joy…Angels of Death/Sister Suicide/ Get off my case/ I ‘m fine this way”, ma quando il mondo si muta in un pozzo scuro senza uscita, ecco che l’autore cala una fune di salvezza “Here’s a remedy, I know a remedy…(etc etc)”. Black Eyed Dog, sceglie di muoversi sul palco di una Burlesque fuori dal tempo, in cui piazza sé stesso come protagonista assoluto in balia delle proprie pulsioni amorose, senza remore, senza ritegno, fronteggia nudo la massa critica. Innesta incubi e rivela oniriche soluzioni… si morde la coda.
Tommaso Vecchio - indie-zone
L’esplicito rimando a Nick Drake nel moniker Black Eyed Dog, dietro il quale si cela il varesotto Fabio Parriniello, mi suscitava un misto di curiosità e timore. Troppa poca voglia di trovarmi di fronte ad un emulo nostrano del cantautore di Tanworth-in-Arden, per il quale il sottoscritto serberà per sempre enorme ammirazione-devozione. La voglia di capirci qualcosa in più ha preso il sopravvento, così mi sono messo all’ascolto di Rhaianuledada (Songs To Sissy) carico di tutti i pregiudizi di sorta. Già dalle prime note ho capito di essere al cospetto di qualcosa di diverso, meno fragile e più oscuro, con un accento ubriaco alla Tom Waits, ma affogato in mezzo litro di acqua minerale. Col progredire della scaletta, le sfumature cambiano e ci si trova al cospetto di un cantautore sulla scia del David Gray più intimista, che talvolta predilige le corde di una chitarra e altre si abbandona ai tasti del pianoforte. Infine, sul finire del disco, sembra di incrociare lo Springsteen di Nebraska, anche se soltanto in alcuni momenti, soprattutto nell’utilizzo delll’armonica a bocca, malinconica e rassegnata. Alla fine del giro un bel disco, leggermente cangiante, sempre equilibrato e col dono della sintesi: undici brani per 34’ di cantautorato acustico e notturno, sono la dose perfetta per non annoiarsi e tenere sempre la tensione alla giusta intensità emotiva.
Enrico Amendola - Vitaminic
Un giorno da cani stringe alle caviglie l’ultimo uomo vivo della Terra. Un cielo da tempesta gonfia le guance e soffia la sua ira gelata. Una strada umida si perde nell’oscurità. Chino in un bar, il vivo, butta giù il quinto bourbon di fila. Il vivo si fa chiamare Black Eyed Dog, malinconia nel cuore e Nick Drake nella testa. Una vita vissuta all’insegna di un’educazione all’inverso: Fabio Parrinello - questo il suo vero nome - nasce nel Nord Italia, Varese per la precisione, e percorre lo Stivale in senso opposto al normale flusso migratorio, tant’è vero che decide di accasarsi in quel di Palermo.
In mezzo a tutto questo c’è anche un lungo peregrinare tra America ed Inghilterra, due band ed un altro album pubblicato un paio d’anni fa. Ora il ritorno, ma con propositi radicalmente diversi.
Rinascita ed oscurità, due facce della stessa medaglia, la parte presentabile e quella da tenere a bada in pubblico. Una voce vibrante, rasposa, declinata in varie sfumature, così un attimo prima la mente corre a pescare tra betulle innevate il fantasma di un imberbe Springsteen - si naviga dalle parti di “Nebraska”-, e subito dopo si tossisce tra le spire fumose di Mark Lanegan. Ma sono soli echi che si perdono tra le note nette e sussurrate di canzoni bastarde, che declamano l’amore o quel miscuglio di esaltazione e di sconfitta che s’accompagna all’oscillare dei suoi vagheggiamenti. Ballate intime e di spessore dondolano tra pianoforti e chitarre acustiche, armoniche e violini, clarinetti in sordina e cicche di sigarette masticate nervosamente.
Rimandi a certo folk americano, imbevuto di sogni spezzati e fughe cominciate e mai finite, s’insinuano nella voce di Parrinello, menestrello capace di pescare più di una melodia tenebrosa. Eddie Vedder apprezzerebbe sicuramente “Angel Eyes”, mentre noi, molto più umilmente, ci perdiamo nella splendida “All 4 You”, prima di rimanere colpiti dall’aria rarefatta che si respira in “I Got In You”. Blues scarnificati e drogati agitano il sistema circolatorio, una sensazione rincuorante di sconfitta s’incastra tra i denti, un sapore dolciastro di sangue si prende cura di chi s’abbandona a questa manciata di canzoni sincere. “Rhaianuledada (Songs To Sissy)” è un album scolpito nel legno, bagnato nella vodka, asciugato dal vento glaciale della tajga siberiana. Un giro tra questi solchi è vivamente consigliato.
Giuseppe Ferraro - Indie for Bunnies
Dietro al nome Black Eyed Dog (titolo di un brano di Nick Drake) si cela Fabio Parrinello, cantautore varesotto del 1979. Dopo un album che ha riscosso ottimi consensi nel mondo indie italiano (“Love is a dog from hell”, 2007), il musicista torna con “Rhaianuledada (songs to Sissy)”. In questo secondo capitolo Black Eyed Dog spazia maggiormente tra folk, cantautorato e strumenti come pianoforte, clarinetto e violino: tra Tom Waits, Nick Drake e Devendra Banhart.
Rockol
L’amore che era un cane dall’inferno diventa uno scoiattolo svegliato dalle prime luci dell’inverno in disgelo. C’è un forte senso di rinascita nel secondo disco di Fabio Parrinello alias Black Eyed Dog a due anni dal precedente “Love is a dog from hell”. Un ricominciare (di nuovo) all’insegna di quell’amore che un tempo lo aveva morso fino allo sfinimento e che oggi diventa legna da ardere, tepore rasserenante, per undici canzoni sì chiaroscurali, ma di quando è il buio a lasciare finalmente il posto alla luce e non il contrario. Il folk americano in zona Will Oldham e Devendra Banhart, principale fonte d’ispirazione dell’ottimo esordio, lascia spazio ad episodi maggiormente pop, che tuttavia non vengono mai meno a quell’essenzialità e a quella malinconia di fondo marchio di fabbrica di una scrittura ad alto tasso emozionale che fa un passo, proprio uno solo, ma in avanti. Dunque eccoli questi undici Rhaianuledada – ti amo nella lingua inventata da Fabio e dalla sua Sissy, a cui il tutto è dedicato – cantati dalla sua voce odorante fumo e legno. La magnifica apertura di Roses che smaschera definitivamente sospettate doti da crooner folk e riprende con esiti meno didascalici che in passato quella vena europeista (vedi fisarmonica "alla parigina") cara a tanti cantori neofolk d’oltreoceano. Il bozzetto Oldham con ruota di bicicletta (?) su acustica ad aggiungere dolcezza a dolcezza di All 4 you. La dichiarazione d’amore da mulo innamorato di Honeysuckle Gal che richiama Banhart e Waits in uno stupendo miscuglio di testardaggine equina, mandolini scalcagnati e clarini da circo alcolico. Una Angel Eyes che alla parentela con Nick Drake aggiunge l’intimismo dell’Eddie Vedder di “Into The Wild”. Infine, e soprattutto, le tante pop-ballad al pianoforte (Salinas, Bullet Proof, Drink Me, I got you in, The way to my heart, Daly Suicide, Lazy B.,) che con pochi accordi evocativi e qualche ricamo di archi, elettronica, armonica e chitarre ci piegano piano piano le ginocchia, lasciandoci alla fine a terra, stupiti e in subbuglio, di fronte all’opera di una persona che grazie all’amore è semplicemente tornata alla vita.
Luca Barachetti - L'isola che non c'era
Spesso e prezioso. Lirico e intenso. Visionario, nella maniera più concreta che conoscete. Lo aspettavamo, Black Eyed Dog, da quando ci aveva incantato con il precedente "Love is a dog from hell", da quando ci aveva davvero fatto toccare l'inferno con mano. Ora ci porta dritti in paradiso, e lo fa con quella grazia che hanno ormai in pochi. Queste, signori, sono canzoni d'amore: anche le precedenti lo erano, ma stavolta c'è uno slancio particolare verso il bello. Uno slancio con pochi fili appesi dietro, che non nascono da mille situazioni pregresse e troppo complicate. C'è ben poco da sistemare, dietro: c'è solo da guardare avanti. Un esempio su tutti, "I got you in". Ricordo bene la prima volta che ti ho visto, e allora I got you in, marry me: in tre minuti e undici secondi all the beautiful girls - and boys - can all go to hell. Senza indecisioni, senza dietrologie: Black Eyed Dog mette a nudo tutto, emozioni pensieri decisioni e anima. Sa che verrà paragonato a Tom Waits, al "suo" Nick Drake, a tanti altri dei cantautori più introspettivi, viscerali, folk: lo sa e non lo nasconde. Sa anche che qualcuno troverà qua e là pezzi di Seattle. Ma gioca a carte scoperte, con l'onestà di chi, comunque vada, porta a casa qualcosa che sente suo fino all'ultima nota. E allora questo è un disco spesso, dicevamo, perché può permettersi di sporcare la voce fin dove vuole, senza che ci siano spigoli. Visionario, perché anche solo un pezzo come "Honeysuckle Gal" non può non farci visualizzare uno strano personaggio al piano, inquietante e ossessivo, ma che non fa più paura. Poi torna lirico, certo: si sente la brezza del mare, ci si immaginano orme lasciate sulla sabbia; si cantano gli occhi di un angelo e arriva l'armonica. Un disco morbido, che si muove da solo in maniera organica, srotolando emozioni da ogni lato lo si guardi, e ascolti. Andrebbero sperimentati tutti, questi lati. Perché di ascolti, queste canzoni per Sissy, ne meritano davvero tanti.
Sara Scheggia - Rockit
La forza che deriva dall’innamorarsi ed essere ricambiati è tremenda. Ok, non siete finiti nel posto sbagliato e non si parla di vecchie hit di Paolo Vallesi. È solo che lo spunto per ogni singola nota o verso del nuovo lavoro di Fabio Parrinello aka Black Eyed Dog è totalmente dovuto a ciò che accade quando una relazione inizia, al contrario del precedente Love Is A Dog From Hell, che riguardava la fine amara e misera dell’amore. Disco che incontrò parecchi consensi, grazie alla splendida voce di Fabio e alla capacità di scrivere canzoni con piglio personale, rappresentando la migliore tradizione di eroi dell’indie rock folk americano, quali Conor Oberst, Bill Callahan e Will Oldham. Il nume tutelare è ancora Nick Drake, ma in questo Rhaianuledada Fabio riesce ad affrancarsi maggiormente da lui e dai “miti” citati poco su, riuscendo nel contempo a non risultare per niente smielato o sdolcinato. Pericolo non da poco, dato l’argomento trattato. “Roses” dà il via al tributo con un’atmosfera jazzy/blues da locanda parigina di fine secolo, con tanto di Fabio in veste di crooner e assolo di fisarmonica. “Salinas” è la prima torch song di gran valore che si incontra, impreziosita da lievi incursioni di clarinetto, “All 4 You” a dispetto del titolo da hip hop da quattro soldi, è un riuscito incontro tra i mood sonori di Tim Buckley e Drake, “Honeysuckle Gal” è ciò che oggi si può definire weird folk, con ancora il clarinetto a stemperare l’aria malsana che vi si respira.“Bullet Proof” è la seconda torch song ancor più intensa e da pelle d’oca di “Salinas”, la drammatica e carnale “Drink Me” conduce ai delicati intrecci acustici piano/chitarra di “I Got You In”, “The Way To My Heart” segna un ulteriore punto per la capacità di Fabio di mettere insieme canzoni principalmente solo piano e voce all’altezza dell’Antony più ispirato. Fortunatamente “Daly Suicide”, la mesta “Lazy.B” e la classica Drake tune “Angel Eyes” mantengono alta la qualità compositiva, rendendo il secondo disco di mr. Black Eyed Dog una delle migliori uscite italiane di inizio 2009.
Giampaolo Cristofaro - Audiodrome
Fabio Parrinello, alias Black Eyed Dog, ci riprova, e anche questa volta ottiene ottimi risultati. A quasi due anni di distanza dal promettente esordio “Love is a dog from hell”, l’artista varesino, di stanza a Palermo, dà alle stampe il suo secondo lavoro, continuando a celarsi dietro il nickname preso in prestito da un brano di Nick Drake. La differenza principale tra i due dischi, sta proprio nella graduale emancipazione che Parrinello sta maturando rispetto allo stesso Drake, dimostrando una maturità non comune a tanti suoi colleghi coetanei. I suoi orizzonti si sono allargati e il suo stile si è affinato, incentrato su ballate introspettive, più o meno con matrice blues, ma non più malinconiche, dato che se l’esordio scaturiva da una cocente delusione amorosa, questo lavoro, al contrario, è l’espressione di un innamoramento. Tuttavia, resta immutato il suo stile minimale con i brani strutturati su pochissimi strumenti, quasi tutti con chitarra e/o piano, talvolta impreziositi da un clarinetto (Salinas e Honeysuckle Gal) o da un violino (Drink me). Gli ambienti che il Nostro riesce a ricreare sono gli stessi di Smog, Bright Eyes, Bartòk, Nick Cave (Roses), Black Heart Procession e Leonard Coen (Angel eyes).
Vittorio Lannutti - La Scena
Non nascondo di provare una certa curiosità per Fabio Parrinello, cosmopolita o apolide non saprei bene (nato a Varese, cresciuto tra Londra e Los Angeles, attualmente domiciliato a Palermo), uno che si nasconde dietro ad un moniker sfacciatamente drakeiano salvo poi disimpegnarsi più che altro in direzione Tim Buckley, uno che dopo i consensi ricevuti dall'esordio Love Is A Dog From Hell (Ghost Records / Audioglobe, aprile 2007) si è mediaticamente eclissato, magari per covare con le dovute attenzioni il qui presente successore Rhaianuledada. Nel quale vengono perlopiù abbandonati i buckleismi vagamente freak dell'esordio in favore d'un cantautorato intimista, cupo e appassionato, sorta di versione schiva di un GoodMorningBoy oppure un Josh Ritter problematico. Da un certo punto di vista si tratta di un'implosione, un rifugio morbidamente claustrofobico, però non fai in tempo a sentirti soffocare che le melodie e l'essenziale lirismo degli arrangiamenti tracciano feritoie da cui soffiano refoli romantici e tutto sommato consolatori. Capita nel passo frugale di All 4 You, dove la fisarmonica è una carezza frugale, oppure tra le brume tenere di I Got You In con la tiepida benedizione del violino, e ancora nel soffice guaire dell'armonica nella dolciastra Daly Suicide, nella lunare The Way To My Heart con quei cori da Will Oldham cherubino, per non dire di quella Salinas che tra pianoforte e clarinetto sbriglia un piglio da Lanegan ingentilito e controcanto efebico quasi Rufus Wainwright. Il tessuto s'increspa complicandosi in Honeysuckle Gal (delirio piratesco da Devendra Banhart waitsiano), concedendosi fregole jazzy nell'iniziale Roses (con un piano quasi Paolo Conte) e masticando certe ugge inafferrabili vagamente Peter Hammill nella notevole Drink Me (le elettroniche a perturbare la trama di chitarre, piano e percussioni). Alla fine resti appeso ad un senso di sedazione emotiva che appiana ogni escursione, allestendo un giaciglio forse un po' monotono e schivo ma ugualmente - e stranamente - affettuoso. Non parlerei di una crescita, ma di un riposizionamento poetico che conferma Black Eyed Dog tra le più interessanti realtà indie nostrane.
Stefano Solventi - SentireAscoltare
Scese le scale della taverna e tutti lo notarono. Alto fino al soffitto, dallo sguardo straniero, con un cappellaccio in testa e una donna fascinosa al fianco. Aspettò pazientemente il suo turno, prese la chitarra e strimpellò 2.45 AM. Ne uscì una voce così propria, un respiro tanto intenso da bloccare sul nascere qualsiasi volatile distrazione. Terminata la quale, si appartò a bere un sorso di liquore di campagna, prese sottobraccio la sua ragione di vita e si dileguò nella notte, lasciando sul palco un alone. Non si creda che la vicenda sia romanzata: accadde a Udine una notte di novembre, anno 2007. Ma sarebbe anche potuta non accadere mai, o ripetersi sempre: la cifra stilistica che reca con sé Black Eyed Dog è tale da non venire dimenticata da chi ci si imbatte. Se l’esordio “Love is a dog from hell” ne rivelò le abbondanti doti compositive e da interprete, offrendo all’uditorio due manciate di canzoni perfette, vecchio stile, con qualche variazione sul tema, l’imminente “Rhianuledada” -esce il 22 gennaio sempre per Ghost- ne fortifica la personalità in senso univoco: se prima le reminiscenze dei brani erano palesi e riconoscibili, oggi Fabio Parrinello da Palermo è un autore a tutto tondo, immediatamente rapportabile alle liriche e ai suoni che scrive. Istoriata nella cover da Roberto Amoroso, la raccolta di tracce apre con una doppietta da knock out, pugno di ferro in guanto di velluto: alla nostalgica Roses, tutta accordéon e pianoforte smooth, succede Salinas, vertice del disco in virtù del ritornello strappacuore (”and I’ll drink the bar dry just to fill up the void, the void that you left when you went away / and ten thousand miles on the back of a car, a knife, a gun and some roses I got for you”). Appare qua e là l’ombra degli “strumenti inconsistenti” su cui si regge l’ultimo Capossela: I got you e The way to my heart si reggono principalmente sulla gola del crooner, mentre Drink me gode del violino e Bullet proof sdoppia la voce sopra lo scarno incedere del pianoforte. C’è spazio per un solo divertissement, la waitsiana Honeysuckle Gal, in un quadro dominato dalla continuità, che vede in Daly suicide l’angolo western e in Lazy.B il mai sopito lato “francese”. Comincio a pensare che il set and setting sia utile ma non indispensabile, sicché se non potete avvalervi di un camino montano e del partner di una vita, queste ballate non suoneranno scomode in qualsiasi altra circostanza, senza pensare anche per un solo momento che un artista nato al sole d’Italia non possa comprendere, “leggere” e restituire il sole d’America… importa solamente che una volta abbia tenuto in mano la penna per scriverlo.
Italianembassy.it
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LOVE IS A DOG FROM HELL
Il nome lo ha carpito a una canzone di Nick Drake, e non ci si stupisca del "lo" perchè - a dispetto delle apparenze - Black Eyed Dog non è una band ma un solista...e uno di quelli speciali, come provato da un esordio che spazia con un gran bell'equilibrio di levità e spessore nell'ambito di un cantautorato in inglese basato sulla chitarra acustica e sulla forza evocativa, appena ombrosa, di atmosfere e melodie. Molto carezzevole, seppur non privo di qualche spunto abrasivo, Love Is A Dog From Hell non ricorda solo il timido, sfortunato menestrello britannico: tra gli arpeggi, gli innesti di piano, le trame sospese e gli accenni percussivi si avvertono infatti echi di Bonnie "Prince" Billy e Fred Neil, Black Heart Procession e Tim Buckley, Smog e Kurt Cobain, Calexico e Tom Waits, Bright Eyes e Richard Thompson, in un appassionante gioco di rimandi da una sponda all'altra dell'Atlantico - sempre portato avanti sul terreno della ballad - che a dispetto dell'ampio range di richiami stilistici (consapevoli e involontari) non dà mai l'impressione della dispersività. Dieci brani tanto fragili quantop intensi, per ventinove minuti di quelli che scorrono fluidi ma imprimono tracce profonde.
Federico Guglielmi - Il Mucchio
Rossano Lo Mele - Rumore
Curiosa l’antinomia tra il moniker e il titolo da una parte, e l’artwork felino, omaggio all’amato Casper deceduto durante la realizzazione del disco: il palermitano BED si fa forte di alti livelli compositivi -peccato per la non inclusione nel booklet dei testi, invero personali- dimostrando di andare oltre il semplice quanto impegnativo cliché del folksinger all’americana: se la bellissima Careless, Lu & Me e Selma before me (“I’m drunk and lonely, I’m high and hopeless, I’m the dust that’s been covering your past”) guardano con efficacia a Will Oldham e Devendra Banhart, al cinofilo scrivente piacciono assai anche le diversioni contenute nel valzer Diazepam for Robin Hood, nello scherzo-Waits Ballad of destruction e nella francofona finale Enfant de la nuit. Un autore a tutto tondo, sapido ed emozionale, che conferma appieno Ghost tra le poche punte del panorama italiano a proiettarsi all’estero con più di qualche credibilità.
Enrico Veronese - Blow Up
Fabio Parrinello, classe 1979, originario di Varese, ma ormai residente a Palermo, dopo aver passato qualche anno tra Stati Uniti e Inghilterra, per il suo esordio discografico ha deciso di seguire l'esempio di alcuni dei migliori songwriters delle ultime generazioni (Bright Eyes, Smog, Bonnie Prince Billy, Songs:Ohia, etc., etc.) e di nascondersi dietro ad un moniker, in questo caso quello di Black Eyed Dog, nome preso di peso dall'omonimo brano di Nick Drake, uno degli eroi musicali di Fabio. Love Is A Dog From Hell è un disco quieto, intimo, riflessivo, molto classico nella sua impostazione cantautoriale, intesa comunque nell'accezione anglosassone del termine, visto che non solo i testi sono tutti in inglese (con la sola eccezione di Enfant De La Nuit che è in francese) ma anche perchè è proprio a quel tipo di sonorità ed ispirazione che ci si riferisce. Ed è così che le undici canzoni del disco si muovono tutte nel solco della ballata malinconica, del mood autunnale, dei colori caldi e rossastri, aiutate da una voce profonda e partecipe. Ottima la scrittura e adeguatamente personale il risultato, tolto qualche brano dove fin troppo evidenti sono i modelli di riferimento (le comunque belle Masks & Needles, troppo Devendra Banhart e Ballad Of Destruction, evidente appoggiarsi al bastone Tom Waits). Nessun dubbio, invece, che sia stupenda la sofferta Careless o che l'andamente parigino-circense di Diazepam For Robin Hood non sia evocativo. Ma un po' tutte le canzoni si fanno ascoltare con piacere, dalla pianistica Blue Eyed Girl, a Lu & Me esposta a due voci, dal folk triste e notturno di Cruising, alle atmosfere serene di Broken Wings, fino ad una ballata molto Bright Eyes come Selma Before Me.
Lino Brunetti - Buscadero
Anche noi abbiamo i nostri songwriter un po' isolazionisti, che si distinguono dal caciaroso panorama nostrano cercando uno spazio più affine sugli scaffali planetari dove riposano i dischi di Smog o Bright Eyes. Il varesino Fabio Parrinello, nemmeno trentenne, sceglie l'idioma anglofono per cantare la lingua universale dei poeti tormentati che non trovano pace da una pena d'amore o da un'ansia inafferrabile. L'album deve solo approdare nelle migliaia di stanze dove si vivono le medesime ansie.
Pier Angelo Cantù - Jam
Fabio Parrinello - unico responsabile del marchio Black Eyed Dog - ha molto viaggiato e militato in diverse band, prima di pubblicare con l'etichetta di Varese "Love Is a Dog From Hell", titolo che rievoca una raccolta di poesie di Charles Bukowski. Il segno lasciato nella scrittura di Fabio da suggestioni che più contraddistinguono il folk di matrice anglosassone è ben visibile: così, capita di imbattersi in una chitarra acustica che tesse la trama principale del pezzo, ampie concessioni melodiche, una voce che passa dal sussurro rauco alle aperture pop del ritornello in "Masks and Needles"; i battiti scendono con "Careless", meditabonda e lenta. Scarna ed essenziale appare "Lu &Me", che vede l'unione di due voci, quella di Fabio e Lulu, accostate al suono della chitarra. Altrettanto priva di fronzoli è "Cruising", capace di esercitare un'attrazione ipnotica sull'ascoltatore, in virtù dell'emozione che sa suscitare. Da segnalare "Blue Eyed Girl", elegante e malinconica.
Ilaria Ferri - Rocksound
"Music is the expression of my emotions. I play all the instruments, I sing all the songs and I open up my heart". Queste le poche note che il giovane musicista di Varese trapiantato a Palermo (non prima di aver fatto due volte il giro del mondo...) scrive per presentarsi sulla propria pagina MySpace. Al resto ci pensa la musica contenuta nel suo esordio da poco pubblicato dalla sempre più importante Ghost, "Love Is A Dog From Hell". Una raccolta di undici ballate acustiche arrangiate con gusto e sensibilità anglosassone, che svelano sin dal primo ascolto gli amori del giovane Fabio P.: Nick Drake innanzi tutto - omaggiato anche nel nome scelto per questo progetto - e poi Devendra Banhart ("Blue Eyed Girl"), Mark Lanegan ("Lu & Me") e Tom Waits ("Ballad Of Destruction").
Rockerilla
Un cane dagli occhi neri che ci dice che l'amore è un cane (un altro?) che arriva dall'inferno; e in copertina e in giro per il disco c'è un bel gatto bianco. Questo il lavoro di Fabio Parrinello, Black Eyed Dog appunto, nuova proposta targata Ghost Records. Sempre insistendo sul nome: non vi dice niente? Sì, è una canzone di Nick Drake, e non è l'unico tributo che il songwriter di Varese (trapiantato a Palermo dopo numerose escursioni all'estero) fa al malinconico cantore che ben conosciamo: compare addirittura un esplicito ed accorato appello ("Careless") ad una "luna rosa" ancora una volta di drakiana memoria, insieme alle corde acustiche leggere, ma anche graffianti, quando vogliono. E nonostante la luna rosa sia portatrice di sventura (saggezza cinese docet), Black Eyed Dog le chiede di prendersi cura di lui. Questa notte e nelle notti successive, che fanno da sfondo a ballate di distruzione, ali spezzate qua e là e ragazze dagli occhi blu, sempre con un vibrato delicatissimo che più espressivo non si può, che da Devendra Banhart passa da Seattle e attraversa quello strano impasto che sa di tabacco, di Eddie Vedder e Kurt Cobain. Senza lasciare tappe obbligate come Elliot Smith, o Bright Eyes. Si sente che ha viaggiato, Fabio, tra U.S. e U.K. Si sente, perché sceglie un pezzo bellissimo come "Masks and Needles" per aprire ed aprirsi, prendere per mano folk, country, chitarre del sud che, come capita in certi pezzi di Sufjan Stevens, sembra di sentire i campanelli delle vacche, e portarli, tutti, in giro per il mondo. In giro a raccontare storie. Mettendoci in mezzo anche il piano, limando sempre di più i suoni, rendendoli raffinati e a tratti estremamente sensuali, per poi farli più aggressivi, come un ubriacone temerario che non ha paura di nulla, almeno di notte. Non poteva mancare la ballata in tre quarti, con i piatti che scandiscono tempo e respiri. Non mancano nemmeno le armoniche e le classiche atmosfere da cantautore maledetto e malinconico, le stesse che abbiamo scomodato anche per Will Oldham, Calexico, o Tom Waits. Ma sotto questa sfilza di eredità, certune anche difficili od ingombranti, si nasconde un talento che colpisce alla prima prova e che, in futuro, saprà costruirsi i suoi simboli...
Rockit
Con un nome d'arte che rende omaggio a Nick Drake, esordisce questo giovane cantautore di Varese trapiantato a Palermo. E la scelta del nome non è casuale: le undici canzoni di questo Love Is A Dog From Hell (pubblicato da Ghost Records), infatti, si muovono con passo sicuro nella migliore tradizione cantautorale americana, tenendo come numi tutelari Will Oldham e Bill Callahan, ma dichiarando anche una passione per leve più giovani, come Bright Eyes e Devendra Banhart, e mostrando interessanti affinità con certi Calexico, sicuramente tutte da approfondire. La forma prevalente è quella della ballata, dall'umore oscuro e dal tono più accorato e fragile. In un paio di occasioni è un pianoforte che affianca e rinforza il classico binomio chitarra e voce, dando ulteriore profondità e calore alle canzoni, e in un episodio (Ballad Of Destruction) si arriva anche a toccare atmosfere da Tom Waits. Un esordio promettente.
Enzo Baruffaldi - Vitaminic
Per chi non lo sapesse Black Eyed Dog è un brano fra i più intensi ed angoscianti di Nick Drake. Inutile, allora, negare la passione di Fabio Parrinello verso l’artista inglese, palese non solo nelle presentazioni, ma anche nell’essenza di un progetto (presumiamo) necessario per espressività e passione. Fabio è un viaggiatore, nato a Varese ed oggi residente a Palermo, dopo aver vissuto fra Olympia, Los Angeles e Londra. Fabio è un songwriter, con animo indolente e talento tanto timido quanto intransigente nell’uscire attraverso canzoni trattenute nella forma eppure impetuose nella sostanza. Fabio ammira Devendra Banhart, eppure, lo si scrive senza alcuno snobbismo, sembra avere una maggiore ispirazione (“Blue Eyed Girls”). Fabio ama l’incertezza serale, muovendosi come un Tom Waits meno fumoso (“Ballad Of Destruction”). Fabio ha ascoltato ed appreso la tradizione cantautorale americana (“Lu & Me”), senza dimenticare alcune peculiarità albioniche abili a regalare immediatezza. Fabio racconta storie semplici, quindi personali e sincere, talvolta sfumate da quei colori surreali indispensabili per disegnare storie dell’anima. Fabio, infine, sembra avere quel potere raro di farti sentire vicino a lui in ogni momento, parola dopo parola, arpeggio dopo arpeggio. Quel potere ricco di dolce violenza introspettiva.
Marco Delsoldato - Kronic
Ci vuole sempre un pizzico di coraggio a misurarsi con un’espressione musicale come il folk più intimo, un po’ perché la scarna strumentazione ti costringe a mettere ancor più a nudo le emozioni per ottenere canzoni convincenti, un po’ per il confronto con artisti del passato (ma anche del presente) che hanno già creato capolavori con cui è dura compararsi. Figurarsi se a farlo poi è un italiano che non ha nel retaggio storico-musicale del suo paese i grandi riferimenti della tradizione folk britannica o americana. Fabio Parrinello, però, non ha avuto remore di nessun tipo; nato a Varese nel ’79, dopo aver viaggiato, studiato e suonato in America e a Londra e aver adottato il nome d’arte di Black Eyed Dog (pezzo di Nick Drake, capirete…) esce ora con il suo album d’esordio dal titolo “Love Is A Dog From Hell”. Nel disco si riconoscono quelli che sono i numi tutelari di Fabio, nonché la convivenza/mescolanza di stili sia americano che d’albione, c’è una murder ballad che frulla Waits e Cave (“Ballad Of Destruction”), ci sono dolorosi canti nel silenzio in stile Songs:Ohia o Will Oldham, country-folk spogli e sofferti alla Richard Buckner e invocazioni omaggio alla "Pink Moon" (“Careless”). Non sminuiamo però con i soliti richiami il fantastico lavoro creato da Fabio, che con la sua voce, veramente notevole, riesce a regalare intense emozioni. Basti ascoltare il lavoro con solo piano in “Blue Eyed Girl”, i delicati duetti con voce femminile e acustica in “Lu & Me”, e arrivare a quella perla che è “Selma Before Me”, in cui i tre elementi (piano, acustica e voci) si fondono creando una ballata che un Damien Rice si giocherebbe come singolo vincente. E avrebbe ragione. Tralasciate magari la giostra di “Diazepam For Robin Hood”, ma tornate a soffermarvi sugli arpeggi e i sussurri di “Cruising”, sulla fanciullesca dolcezza di “Broken Wing” o sull’armonica di “No Name #7”, con la pioggia che scroscia in sottofondo, fino alla conclusione in francese di “Enfant de la nuit”. Se avrete saputo ascoltarlo col cuore e scevri da ogni pregiudizio, non rimarrete delusi. Alla fine sono pochi minuti quelli di “Love Is a Dog From Hell”, ma sembrano molti di più, non certo per la noia, ma per l’intensità che Parrinello riesce a infondere alle sue canzoni grazie alla voce espressiva e alla capacità di creare una musicalità essenziale ma anche multiforme. Un eccellente esordio cui chi ama questo genere dovrebbe dare ascolto almeno per premiare questo italiano ventottenne e il suo lavoro semplice, ma pieno di passione.
Gianni Candelari - Onda Rock
Il suo pseudonimo è uguale al titolo di un brano di Nick Drake. E già questo gli fa guadagnare un punto nella graduatoria delle nostre preferenze. La sua voce ricorda quella di Devendra Banhart. E anche questo è un buon lubrificante per il giusto fluire delle nostre emozioni. E poi le sue sono belle canzoni. Che non è certo un aspetto da sottovalutare. Lui si chiama Fabio Parrinello. Il suo soprannome è Black Eyed Dog. Il suo disco s’intitola Love Is A Dog From Hell. Biografia curiosa, quella di Parrinello. Nato nel ’79 a Varese, passata l’adolescenza si trasferisce prima ad Olympia, nello stato di Washington, dove vivrà per tre mesi, e poi a Los Angeles per altri quattro mesi. Poi il passaggio a Londra (quattro anni, durante i quali sarà attivo in diverse band alternative) ed infine lo sbarco a Palermo. E tutti questi spostamenti sembrano rispecchiarsi nelle tracce dell’album. Che, sia detto per inciso, suona maledettamente bene. Nel senso di armonico, maturo, adulto. Un prodotto che, per come è confezionato e per cosa ha confezionato, è solido e competitivo nei confronti dei suoi diretti concorrenti a stelle e strisce. La voce straordinaria di Parrinello s’inerpica in soluzioni ora calde e raspose, ora tenui e sussurrate. Come un Tom Waits apparentemente pacificato con i propri demoni o un Bonnie “Prince” Billy dalle corde vocali ancora più commosse e commoventi. Un neo folk dalla struttura variabile - chitarra, pianoforte e sintetizzatore a contendersi l’onore di duettare con le strofe dei brani - e dalla forte intensità. Black Eyed Dog scava nei sentimenti e colpisce al cuore. E mentre evoca la sua personale luna rosa - Careless - noi ci struggiamo di emozioni e malinconie.
Manfredi Lamartina - SentireAscoltare
Si nasconde un cuore (ed un corpo) italiano dietro questo esordio maturo e dispessore. Fabio Parrinello, originario di Varese ma residente a Palermo, firma un disco di bellezza lieve e sospesa, iscritto nel solco intimista di un cantautorato folk di chiara matrice anglosassone e nord americana. Al di là dell'esplicito riferimento a Nick Drake, omaggiato con la scelta di utilizzare il titolo di una sua canzone come proprio nome d'arte, batte un cuore italiano in questo dolcissimo e malinconico cane dall'occhio nero. Un cuore, purtroppo (o per fortuna?), infranto, come nella più classica delle tradizioni; un cuore, però, ricco di dolore fecondo, capace di generare un album d'esordio di bellezza lieve e sospesa. Neanche mezz'ora di durata complessiva, undici brani, di cui solo un paio poco sopra i tre minuti, tutti iscritti nel solco intimista di un cantautorato folk di chiara matrice anglosassone, arricchito e contaminato da sfumature ed influenze più moderne provenienti invece da lidi (nord) americani. Chitarra, pianoforte, e poco altro, accompagnati da una voce profonda e graffiante, flebile e complice, pacificante, che di volta in volta rimanda a Tom Waits, Devendra Banhart, Mark Lanegan, e che invece è tutta opera di Fabio Parrinello, varesino di stanza a Palermo, animo cosmopolita e precedenti esperienze musicali a cavallo tra l'Europa e l'America. Love Is A Dog From Hell è un disco intriso di malinconica gioia di vivere, anche quando un amore finisce e tutto sembra congiurare contro di noi. Un disco che disegna scenari forse poco adatti alla bella stagione verso la quale stiamo andando, pervaso com'è d'autunno e da fragili ed intime ballads, cantate, sussurrate o appena accennate, che hanno comunque il dono grande di sapersi arrestare alla soglia della sofferenza, senza ostentarla, senza brandirla, senza sguazzarci masochisticamente dentro. Grazie, dunque, a questo ragazzo non ancora trentenne ma già coraggiosamente in direzione ostinata e contraria, per questo inaspettato regalo fuori stagione, e complimenti per questo esordio decisamente maturo e di spessore, cantato in un inglese più che convincente e suonato con sensibilità ed un pizzico di romantica poesia.
Ivan Masciovecchio - Rockshock
Ultimamente in Italia sono usciti lavori molto interessanti, lavori che musicalmente sono assimilabili ad un certo filone indie folk rock. Penso a dischi come ‘The restless fall’ di Paolo Saporiti e a ‘God is a major’ di Herself. E poi penso a questo ‘Love is a dog from hell’. Se Saporiti mi aveva affascinato con la fragilità delle sue composizioni e Valenti con la sua voglia di psichedelia indie rock acustica da cameretta, ora è Fabio Parrinello in arte Black Eyed Dog a incuriosirmi parecchio: il suo approccio è più legato alla tradizione “classica” americana. In questo lavoro dal titolo (non a caso) bukowskiano si possono trovare echi di Tom Waits, Captain Beefheart, ma anche il primo Mark Lanegan e Bonnie Prince Billy. Ma non solo: l’omaggio di Careless a ‘Pink Moon’ di Nick Drake è evidente e dovuto (come lo è anche il nome d’arte usato dal songwriter per questo progetto, quella Black eyed dog del cantautore inglese). Ma non fraintendetemi, tutti questi riferimenti non creano banalità, semplicemente queste undici tracce confluiscono in un panorama sonoro già esistente e in esso trovano il loro posto senza alcun problema. Un disco già maturo nonostante si tratti di un esordio. Masks and needles, Blu eyed girl e Ballad of destruction, per citarne alcune che mi hanno colpito in modo particolare, sono canzoni che è un piacere ascoltare. Forse non per tutti, ma gli amanti del genere non potranno che apprezzare questo lavoro che soddisfa le piccole aspettative, creandone altre più grandi per il futuro. Un futuro che sembrerebbe annunciarsi roseo. Ma procediamo per piccoli passi: ora godiamoci queste ballate, dolci, passionali, poetiche, e basta.
Paolo Viscardi - Rocklab
Sono paesaggi autunnali quelli che si scorgono dai quadri dipinti dalla calda voce di Fabio Parrinello, alias Black Eyed Dog, varesino, stabilitosi a Palermo, che come il suo collega più famoso ed affermato, Will Oldham, preferisce nascondersi dietro un nick name, che è poi una canzone di Nick Drake. Nei 29 minuti di questo esordio Parrinello si lascia andare ad undici ballate malinconiche ed essenziali, senza fronzoli, dato che si fa accompagnare prevalentemente da una chitarra acustica e di volta in volta da un piano. Il timbro della sua voce è molto caldo ed avvolgente, tanto da richiamare il più oscuro Mark Lanegan (“Careless”), ma anche lo Steve Earle acustico e più hobo (“Lu & me”). Il ritmo ha un’accelerata soltanto nel valzerino circense e struggente di “Diazepam for Robin Hood” e la voce quasi scartavetrata di “Ballad of decostruction” inevitabilmente lo fa accostare a Tom Waits. Un esordio in punta di piedi, ma che merita una grande eco.
Vittorio Lanutti - Freak Out
Non ci si crede, nemmeno a leggere le note di copertina: dietro questo progetto di folk acustico che sembra nato in qualche angolo incantato d’America si cela un talento italico. Fabio Parrinello è dotato di una voce sensibile e drammaticamente vibrante. Il suo esordio evoca naturalmente Nick Drake (“Black Eyed Dog” è un suo brano), la cui luna rosa è dipinta sulla tela pregiata delle liriche di “Careless”. Fabio si accompagna indifferentemente con la chitarra e con il pianoforte, riducendo la musica al minimo essenziale e lasciando le melodie in primo piano. Tante ballate e qualche sorpresa, come quando Fabio si concede un giro di giostra in “Diazepam For Robin Hood” oppure indossa per qualche istante la maschera di Tom Waits in “Ballad Of Destruction”. Delizioso.
Corrado Minervini - Rockstar
Da un brano di Nick Drake Fabio Parrinello prende in prestito il nome e ciò la dice lunga sulle sonorità ravvisabili in questo “Love is a dog from hell” edito dalla varesina Ghost Records. Un lavoro curato e che trova la chitarra acustica e la tagliente voce – a cui talvolta s’aggiungono le percussioni, piano e synth - come armi per colpire l’ascoltatore. Arpeggi di chitarra e pungenti melodie vocali riecheggiano dando vita a ballate riflessive e disincantate in cui spicca l’alternanza tra elementi folk classici a quella moderna in cui fan capolino Conor Oberst (Bright Eyes) e Devendra Banhart. Malinconia, sensibilità, romanticismo, nostalgia sono i binari su cui si sviluppano i brani e su cui ruotano i testi di Fabio dove intimismo, intensità e fragilità prendono il largo nell’ascoltatore, donando un senso di pace interiore. Un lavoro interessante che talvolta soffre di troppa derivazione (ravvisabile lo “spettro” di Devendra Banhart in Blue eyed girl, Surfjan Stevens nell’iniziale Masks and Needless) ma è pur logico ciò, le influenze sono di un certo peso però Fabio si smarca bene e spesso. Le canzoni nascono come ballate riflessive e disincantate, nelle quali fuoriescono elementi classici e tradizionali del folk anglosassone con un’attitudine più moderna, che deve molto al cantautorato americano dell’ultimo decennio. Mi sembra d’essermi dilungato sin troppo, il mio consiglio lo evincete dalle parole. Un plauso alla Ghost Records per la scelta e naturalmente a Black Eyed Dog… l’aspettiamo al prossimo lavoro.
Rocco D'Ammaro - Onda Alternativa
Parlare di Fabio Parrinello è come parlare di un viaggio. Dalla nascita a Varese nel 1979, ai primi accordi strimpellati nel ’90, con la musica dei Nirvana sempre nelle orecchie. Poi la trasferta a Olympia, Washington, tre mesi. Poi Los Angeles, quattro mesi. Ancora quattro anni vissuti a Londra, dove suona nei Kalima e nei Blue room. Ora è ritornato in Italia, vive e lavora a Palermo. Forse solo una pausa? Chissà. “Love is a dog from hell” è il disco che raccoglie tutte le sue esperienze. Registrato agli studi Ghost records di Varese, è uscito nei negozi da un paio di settimane. Fabio, come il più maledetto dei crooners, è in grado di donare alle proprie canzoni un taglio malinconico e nostalgico, attraverso i vari colori e registri che la sua voce, calda e profonda, è in grado di raggiungere. Fa ritrovare una pace interiore, anche se le parole raccontano di storie di pene e sofferenze d’amore, nelle quali è facile identificarsi. Suoni caldi, che precisi e corposi circondano il cantato. Un bel lavoro, una bella riflessione che sa di esperienza trasformata in musica, di quella che non stanca dopo pochi ascolti. Le canzoni di Black eyed dog ci abbracciano e si stringono attorno a noi come la più calda delle coperte. I dolori e le sofferenze sono là fuori, la musica ancora un volta è in grado di farcelo dimenticare.
Federico Genta - La Stampa
Tralasciamo pure i commenti al titolo del disco, ma teniamolo presente come chiave di accesso a queste melodrammatiche ballate. Questo disco è stato un po’ difficile…da studiare. Ma le imprese non esattamente semplici a volte sono quelle che più appassionano. Devo dire che il mood della band, scuro, dolce e lento, non è esattamente invitante, non trasmette subito emozioni, ma di sicuro avvolge in un’atmosfera densa e ricca. La voce calda, trasporta nell’andamento notturno di queste storie, lasciandola come protagonista dello scarnificato contesto musicale. Una sensibilità alla Nick Drake accompagnata alla tinte folkeggianti della campagna inglese. Canzoni dall’animo nobile e sensibile. Paola Andreoni - Beat